Il Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto di cui all’art. 625-bis C.p.P. si collega al sindacato straordinario della Cassazione per superare il giudicato derivato da una propria pronuncia.
È ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione.
La richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato, con ricorso presentato alla corte di cassazione entro centottanta giorni dal deposito del provvedimento. La presentazione del ricorso non sospende gli effetti del provvedimento, ma, nei casi di eccezionale gravità, la corte provvede, con ordinanza, alla sospensione.
L’errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla corte di cassazione, d’ufficio, in ogni momento e senza formalità. L’errore di fatto può essere rilevato dalla Corte di Cassazione, d’ufficio, entro 90 giorni dalla deliberazione.
Quando la richiesta è proposta fuori dell’ipotesi prevista al comma 1 o, quando essa riguardi la correzione di un errore di fatto, fuori del termine previsto al comma 2, ovvero risulta manifestamente infondata, la corte, anche d’ufficio, ne dichiara con ordinanza l’inammissibilità; altrimenti procede in camera di consiglio, a norma dell’articolo 127 e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l’errore.
Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso i provvedimenti della Corte di cassazione può avere ad oggetto l’omessa considerazione di una prova esistente, ma non il travisamento della stessa (Cass., Sez. 2, n. 29450 del 8/5/2018).
Nel giudizio di verifica eccezionalmente affidato alla Cassazione deve essere evidenziato un errore realmente percettivo e di fatto ed il preteso errore derivi da una valutazione giuridica relativa a circostanze di fatto correttamente percepite (così Cass., Sez. 6, n. 46065 del 17/09/2014).
Per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, l’errore materiale o di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis C.p.P. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Cass., Sez. U, n. 16103 del 27/3/2002).
Le Sezioni Unite hanno chiarito ciò che più rileva per delimitare il campo applicativo del rimedio straordinario, e cioè che sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati.
Il massimo collegio di legittimità ha precisato anche, in motivazione che, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis C.p.P.
Tale principio è stato ribadito successivamente da Cass., Sez. U, n. 37505 del 14/7/2011, con cui si è definitivamente affermato, pertanto, che il rimedio straordinario in esame non può essere esperito per far valere un presunto errore di diritto.
In linea con tali incontestati approdi delle Sezioni Unite, la giurisprudenza delle Sezioni Semplici ha via via ricostruito il perimetro concreto di delimitazione del sindacato di legittimità derivante dal rimedio straordinario in esame, tenendo presente che l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale.
Si è segnalato, pertanto, che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis C.p.P. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cessazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Cass., Sez. 2, n. 2241 del 11/12/2013; Sez. 6 n. 46065 del 17/09/2014; Sez. 2, n. 42782 del 30/9/2015).
Corte di Cassazione Sez. 5 n. 32615/2022