La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente l’ammissibilità e la quantificazione dell’assegno di divorzio nell’ipotesi di rifiuto della proposta di lavoro da parte dell’ (ex) coniuge beneficiario dell’assegno.
L’art. 5, comma 6, Legge n. 898 del 1970 stabilisce che: Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Nel caso di specie il giudice di merito ha accertato l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente dell’assegno divorzile anche dopo il rifiuto della proposta di lavoro venuta alla richiedente stessa dall’ex coniuge. In tal senso il giudice di merito ha rimarcato in primis: l’età non più giovane della donna; l’ammontare del reddito che le sarebbe venuto dall’offerta di lavoro procuratale; la lontananza dalla residenza del luogo di svolgimento dell’attività lavorativa offertole.
Con riguardo alla quantificazione dell’assegno di divorzio ai sensi dell’art. 5, comma 6, della Legge sul divorzio, la quantificazione operata in sede di separazione è un presupposto da cui muove il giudice del merito per ritenere la capacità del reddito dell’onerato e non per rapportare l’assegno di divorzio a quello stabilito in sede di separazione. Tanto vale, nel caso di specie, a fronte di una più ampia disamina dei presupposti dell’assegno richiesto in cui figurano, insieme alla disparità dei redditi degli ex coniugi, l’incapacità del richiedente di far fronte, in via autonoma, al proprio mantenimento, nel pure operato accertamento del contributo dato alla famiglia e al patrimonio di questa con il lavoro casalingo, il tutto all’esito di un articolato giudizio che, muovendo dai presupposti di legge, valorizza la durata del rapporto matrimoniale, la nascita di due figli e l’attività lavorativa e di coordinamento svolta all’interno delle società familiari quale contributo al loro mantenimento.
Corte di Cassazione, ordinanza n. 1643 del 19 gennaio 2022