La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il rigetto della richiesta di rimessione in termini della difesa dell’imputato, finalizzata a formulare l’istanza di sospensione del processo con messa alla prova.
Nel caso specifico l’istanza di restituzione in termini ai fini della sospensione del processo con messa alla prova era stata formulata dall’imputato condannato in primo grado per un reato che non consentiva la misura della messa alla prova, e condannato in secondo grado, a seguito di riqualificazione del fatto, per un reato che, al contrario, consentiva la sospensione del processo con messa alla prova.
Sul punto, occorre precisare che, una volta riqualificati i fatti in relazione ad una fattispecie di reato, che, in termini di pena edittale, consente la messa alla prova, l’imputato avrebbe dovuto richiederne l’applicazione al giudice di primo grado, nel termine di cui all’art. 464-bis C.p.P. (ovvero fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio ovvero, se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, entro il termine di cui all’articolo 458, comma 1).
Ed invero, la difesa, pur in presenza di un diverso capo d’imputazione, avrebbe dovuto comunque chiedere l’ammissione al beneficio subordinandolo alla diversa qualificazione giuridica.
Inoltre, in merito all’accesso al beneficio della messa alla prova, va ribadito il principio di diritto secondo cui in caso di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa e può, ove la ritenga non corretta, modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell’istituto in questione.
In altri termini, che il giudice può procedere ad una valutazione del fatto ai fini di una sua più corretta qualificazione giuridica anche in funzione della verifica della ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 168-bis C.p. per la sospensione del procedimento e la messa alla prova dell’imputato. Ovviamente ciò potrà fare mediante una delibazione che si nutra dei materiali disponibili, i quali a seconda del momento in cui viene avanzata la richiesta saranno più o meno ampi e verificati attraverso l’istruttoria dibattimentale. (Corte Cass. n. 36752/2018).
Un accostamento può essere operato con l’istituto dell’oblazione, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità (a Sezioni Unite) ha precisato che, nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 C.p. né quella speciale prevista dall’art. 162-bis C.p., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521 C.p.P., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del beneficio (Cass. Sez. Un. n. 32351 del 26/6/2014).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 10925 Anno 2020