Sbatti il mostro in prima pagina è un film drammatico del 1972 che con la regia di Marco Bellocchio e la superba interpretazione di Gian Maria Volonté ottiene diversi riconoscimenti di critica e di pubblico.
Sbatti il mostro in prima pagina racconta una storia dal sapore sociale-culturale, con lo sfondo politico italiano degli anni ’70 (c.d. anni di piombo), e collegata al giornalismo, ai media in generale, al potere dell’informazione, e alla correttezza o corretta manipolazione nell’uso delle notizie.
Si parte da un fatto di cronaca nera avvenuto a Milano, ovvero la violenza sessuale e l’omicidio di una giovane ragazza liceale. Gian Maria Volonté, in qualità di direttore di un importante giornale, utilizza il suo ruolo per accendere i riflettori contro un extraparlamentare di sinistra, fino ad arrivare ad una vera e propria accusa mediatica e ad una condanna giornalistica e sociale per il delitto.
Sbatti il mostro in prima pagina richiama la difficile questione del potere della carta stampata e del diritto di informazione, i cui risvolti negativi ricadono inevitabilmente sul lettore/cittadino che ne rimane, suo malgrado, influenzato e vittima inconsapevole.
Come, qualche anno fa, ribadiva la giurisprudenza di legittimità in una nota sentenza sui limiti del diritto di cronaca, il diritto di stampa (cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti) sancito in linea di principio nell’art. 21 Cost. e regolato fondamentalmente nella L. 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrano le seguenti tre condizioni:
1) utilità sociale dell’informazione;
2) verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti;
3) forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti.
Inoltre, l’esercizio del diritto di stampa (e quindi di cronaca e di critica), garantito dall’art. 21 Cost., non può essere censurato solo in sede penale e, quindi, solo se ed in quanto costituisca reato. Nel nostro ordinamento, invero, quando la condotta dell’agente incide nella sfera di altro soggetto, non vi può essere mai, per un principio fondamentale d’ordine sistematico, un illecito che sia soltanto penale e non anche civile. Ciò perché la legge penale ha una funzione non meramente sanzionatoria, ma — come ha ben messo in luce la dottrina — «ulteriormente» sanzionatoria: ha, cioè, la funzione di rafforzare con una particolare sanzione (quella penale) la tutela di un precetto che non attiene soltanto al diritto penale, ma a tutto l’ordinamento, di un precetto, cioè, che prima di essere la premessa implicita della norma penale (in cui notoriamente può sempre ravvisarsi un precetto e una sanzione) costituisce in ogni caso un comportamento illecito, e quindi vietato, anche astraendo dalla sanzione particolare che il diritto penale gli riconnette. La dimostrazione più evidente di tale assunto può trarsi dall’art. 51 C.p., secondo cui «l’esercizio di un diritto … esclude la punibilità» cioè impedisce che il fatto commesso possa considerarsi reato. Al che logicamente consegue che un comportamento, per essere reato, deve, prima di tutto, non soltanto non costituire esercizio di alcun diritto (primo fra tutti quello fondamentale di libertà), ma rappresentare la violazione o l’abuso di un diritto sulla base di una qualsiasi norma {esplicita o implicita) dell’ordinamento e, quindi, poter essere considerato «ingiusto» indipendentemente dall’applicazione della sanzione penale.
In altre parole, può ben esservi un illecito civile (nel senso di «aquiliano») che non sia anche penale, mentre il contrario non può mai verificarsi. (Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259)