La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia che si riporta in commento affronta nuovamente la questione inerente l’impugnazione dinanzi al giudice di legittimità della sentenza di non doversi procedere in ordine all’esito positivo della messa alla prova.
Nel caso di specie il Procuratore generale territoriale ha proposto appello per cassazione, avverso la sentenza di non doversi procedere in ordine all’esito positivo della messa alla prova ai sensi degli artt. 168-bis C.p. e 464-septies C.p.P. affermando al presenza di vizi dell’ordinanza originaria di sospensione del processo.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che l’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 C.p.P., in quanto l’art. 464-quater, comma 7, C.p.P., nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova (Cass., Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016).
Nella motivazione, le Sezioni Unite danno atto che l’immediata ricorribilità per cassazione del provvedimento ammissivo, da parte del p.m. e della persona offesa, certamente limita il controllo alle sole violazioni di legge e agli eventuali vizi della motivazione e può rappresentare un condizionamento, in quanto non possono essere dedotte questioni rilevanti che attengono al merito, come ad esempio la quantità e la qualità degli obblighi e delle prescrizioni imposte, nonchè i termini della loro esecuzione ovvero la congruità rispetto al fatto commesso e alle finalità rieducative che giustificano il provvedimento stesso.
Tuttavia, in questo caso, hanno precisato le Sezioni Unite, “il legislatore ha dato prevalenza alla tempestività della contestazione di legittimità“, escludendo ogni controllo sul merito. Soluzione che, riferita al pubblico ministero e alla persona offesa, può risultare ancora razionale, se la si interpreta come il tentativo del legislatore di assicurare comunque una tutela a soggetti che possono trovarsi in posizione “antagonista” rispetto all’ordinanza che ammette l’imputato al procedimento di cui all’art. 168-bis C.p.; tutela “limitata” ai soli motivi di legittimità per garantire il massimo favore all’istituto della sospensione con messa alla prova.
Ora, proprio siffatta esigenza di tempestività sottolineata dalle Sezioni Unite induce a ritenere che l’omessa proposizione del ricorso per cassazione avverso il provvedimento ammissivo precluda la possibilità di far valere, con il ricorso avente ad oggetto la sentenza che dichiari non doversi procedere per il positivo esito della messa alla prova, asseriti vizi dell’ordinanza originaria.
Viene, al riguardo, in rilievo il generale effetto preclusivo che consegue al mancato esperimento di un rimedio impugnatorio espressamente previsto dal legislatore.
Tale conclusione è confortata dal fatto che, se è vero che le ordinanze, in quanto provvedimenti interni al procedimento, sono strutturalmente modificabili (Cass., Sez. U, n. 46201 del 31/05/2018), è altresì vero che la specifica ordinanza della quale si discute produce effetti suscettibili di essere rimessi in discussione solo nei casi previsti dal legislatore, ossia a seguito della revoca, nelle ipotesi tassative di cui all’art. 168-quater C.p., o in ragione della mera integrazione o modifica del programma di trattamento, con il consenso dell’imputato (art. 464-quater, comma 4, C.p.P.).
Tale ricostruzione è, del resto, coerente con le indicazioni provenienti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno affermato come il nuovo istituto, nel realizzare una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita, si connoti per un’accentuata dimensione processuale, che lo colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (pur presentando anche e soprattutto natura sostanziale), giacchè si accompagna ad un rito speciale “in cui l’imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo” (Cass., Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016).
Ed è in questa prospettiva che si giustifica l’esigenza di garantire un immediato controllo dei presupposti di accesso al nuovo rito, ferma restando la possibilità di contestare, con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, gli specifici vizi che afferiscano al segmento processuale che segue all’originaria ammissione alla prova.
Alla luce delle argomentazioni sin qui esposte, va perciò data continuità al principio secondo cui è inammissibile il ricorso in cassazione del pubblico ministero contro la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 464-septies, C.p.P., quando denunci vizi afferenti il provvedimento di sospensione del processo, di cui all’art. 464-quater C.p.P., che avrebbero potuto essere fatti valere contro quest’ultimo (Cass., Sez. 5, n. 5093 del 14/01/2020).
Corte di Cassazione Penale Ord. Sez. 7 Num. 25356 Anno 2020