Le ali della libertà. Film diretto da Frank Darabont

Le ali della libertàLe ali della libertà è un film drammatico del 1994, che con la regia di Frank Darabont (nel cui curriculum si annovera anche la regia de Il miglio verde nel 1999) e l’interpretazione di Tim Robbins e Morgan Freeman ottiene ben sette candidature a Premi Oscar nel 1995, due candidature a Golden Globes nel 1995 e numerosi altri riconoscimenti. Il film trae ispirazione dal racconto Rita Hayworth and the Shawshank Redemption (raccolta Stagioni diverse) di Stephen King.

Le ali della libertà prende le mosse dalla condanna a due ergastoli di Andy Dufresne, (alias Tim Robbins), direttore di banca, per l’omicidio della moglie e del suo amante, sebbene innocente.

Il film racconta la vita all’interno del carcere di Shawshank, nel Maine, dove Andy Dufresne viene rinchiuso nel 1947 per scontare la pena. Diverse sono le tematiche affrontante scena dopo scena, dalla corruzione del direttore dell’Istituto carcerario e delle guardie penitenziarie, alle violenze dei detenuti, e alla speranza di andare avanti, sognando una vita migliore.

C’è qualcosa dentro di te che nessuno ti può toccare nè togliere, se tu non vuoi, si chiama speranza!

Non manca l’amicizia del protagonista con Red (alias Morgan Freeman) un ergastolano nero con il quale, nonostante le evidenti diversità, si trova a condividere quella inesorabile voglia di libertà che lo porterà più tardi all’evasione dal carcere.

Uno dei momenti fondamentali della pellicola cinematografica è la gestione della biblioteca del carcere che il protagonista riesce ad ampliare grazie a dei fondi ottenuti dopo numerose richieste al Senato.

La biblioteca rappresenta per Andy una delle fonti dove poter dissetare la sua voglia di libertà, oltrepassare le sbarre della struttura carceraria, e consente, sotto il profilo pratico, di fornire una istruzione anche agli altri detenuti.

E’ necessario soffermarci su questo aspetto ed evidenziare la finalità della pena che nel nostro ordinamento deve tendere alla rieducazione del condannato (ex art. 27 Cost.). Orbene, nell’ambito dell’esecuzione della pena la rieducazione ne è la finalità, la quale può consistere in attività dirette a migliorare e/o ampliare il bagaglio culturale del detenuto.

La rieducazione comporta il recupero del detenuto ai fini del reinserimento nel contesto economico e sociale. Invero, la Costituzione, oltre a disporre che le pene siano sempre umane, “evidenzia la necessità che le pene abbiano quale funzione e fine il riadattamento alla vita sociale“. Orbene, funzione (e fine) della pena non è certo il solo riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile. A prescindere sia dalle teorie retributive secondo cui la pena è dovuta per il male commesso, sia dalle dottrine positiviste secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena. (Corte Cost. sent. n. 264/1974).

I due principi dettati dall’art. 27 della Costituzione, quello di umanizzazione della pena, (“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità“) e il principio della funzione rieducativa della pena si ricollegano all’ulteriore principio di civiltà che a colui che subisce una condanna a pena detentiva “sia riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive e garantita quella parte di personalità umana che la pena non intacca” (Corte Cost. sent. n. 114/1979 e n. 349/1993).

La rieducazione del condannato ai fini della socializzazione consente altresì di accedere ai benefici penitenziari, come i permessi premio e la liberazione condizionale.

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