Il divieto di surrogazione di maternità e di fecondazione eterologa previsto dalla Legge n. 40 del 2004.
Va osservato che l’ordinamento italiano – per il quale madre è colei che partorisce (articolo 269 c.c., comma 3) – contiene, alla Legge n. 40 del 2004, articolo 12, comma 6, un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un’altra donna; divieto non travolto dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale parziale dell’analogo divieto di fecondazione eterologa, di cui all’articolo 4, comma 3, della medesima legge, pronunciata dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 162 del 2014 (nella quale viene espressamente chiarito come la prima delle due disposizioni sopra indicate non sia “in nessun modo e in nessun punto incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi perdurante validità ed efficacia”).
Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali.
Vengono qui in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato.
Le aperture, registrate in dottrina, verso alcune forme di maternità surrogata solitamente non riguardano la surrogazione eterologa, quella cioé realizzata mediante ovociti non appartenenti alla donna committente, che é priva perciò anche di legame genetico con il nato; né tantomeno riguardano le ipotesi in cui neppure il gamete maschile appartiene alla coppia committente. E nemmeno rileva qui domandarsi se siano configurabili (e come reagiscano, eventualmente, sul divieto penale di surrogazione di maternità ora previsto dalla legge), fattispecie di maternità surrogata caratterizzate da intenti di pura solidarietà e perciò tali da escludere qualsiasi lesione della dignità della madre surrogata, come pure in dottrina si é sostenuto, inerendo interrogativi siffatti a problematiche non attinenti alla fattispecie in esame.
Neppure può sostenersi che il divieto in discussione si pone in contrasto con la tutela del superiore interesse del minore, da considerare preminente “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi” ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione di New York.
Il legislatore italiano, invero, ha considerato, non irragionevolmente, che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando, come detto, all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo della parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico. E si tratta di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale non attribuisce al giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto.
Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 11 novembre 2014, n. 24001
Grazie per un post così informativo.
Puoi per favore scrivere qualcosa sulla qualifica di madre surrogata?
Gentile Signora
riprendo quanto stabilito nella sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite: “una donna che si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, rinunciando preventivamente a “reclamare diritti” sul bambino che nascerà”.