La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente l’individuazione dei reati rientranti nei parametri edittali previsti dall’art. 168-bis, comma prima, C.p., e i termini della richiesta dell’imputato di ammissione alla sospensione del processo con messa alla prova.
Invero, come stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 36272 del 31/03/2016): “Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, il richiamo contenuto all’art. 168-bis C.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato“.
In ordine ai termini della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, il primo e necessario presupposto per ottenere l’ammissione all’istituto in oggetto (anche eventualmente nei successivi gradi di giudizio, in base a valutazioni ed esiti processuali vari) è costituta dalla tempestiva presentazione della istanza.
Nel caso di passaggio attraverso l’udienza preliminare, l’istanza deve essere presentata, a mente dell’art. 464-bis, comma 2, C.p.P., fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 del codice di rito.
Tale termine processuale deve sempre e comunque essere rispettato, anche nel caso in cui il reato in contestazione non consenta l’ammissione al rito in ragione dei limiti edittali della pena prevista per il reato-base; in tal caso l’istanza dovrà essere accompagnata dalla richiesta di riqualificazione del reato in termini tali da rientrare nei limiti di ammissibilità dell’art. 168-bis C.p.
Ciò in quanto, in caso di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa e può, ove la ritenga non corretta, modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell’istituto in questione (Cass., Sez. 4, n. 4527 del 20/10/2015; Cass., Sez. 4, n. 36752 del 08/05/2018, che – pronunciando in un caso in cui l’imputato era stato condannato in primo grado per un reato che non consentiva la misura della messa alla prova, mentre in appello il fatto era stato riqualificato in un reato che la avrebbe consentita – ha ritenuto immune da censure il provvedimento con cui la Corte di Appello aveva respinto l’istanza di restituzione in termini avanzata per accedere al beneficio, sul rilievo che l’imputato avrebbe dovuto richiederne l’applicazione al giudice di primo grado, nel termine di cui all’art. 464-bis C.p.P., previa riqualificazione del reato in contestazione).
La tematica giuridica si pone in termini sostanzialmente analoghi a quelli già risolti dalle Sezioni Unite per il caso dell’oblazione: “In materia di oblazione, nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 C.p. né quella speciale prevista dall’art. 162-bis C.p., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521 C.p.P., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del beneficio” (Cass., Sez. U., n. 32351 del 26/06/2014).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 5908 Anno 2021