Ti ho sposato per allegria è un film del 1967 che con la regia di Luciano Salce e la splendida interpretazione di Monica Vitti e Giorgio Albertazzi rientra a pieno titolo tra i cult della commedia all’italiana.
Ti ho sposato per allegria è tratto dall’omonima commedia in tre atti del 1965 della famosa scrittrice e drammaturga, di origine siciliana, Natalia Ginzburg.
La pellicola cinematografica racconta, con grande eleganza e un pizzico di irriverenza, la storia matrimoniale di Pietro e Giuliana sposati da una settimana, in modo rapido e apparentemente senza grandi motivazioni e sentimenti, ivi incluso l’amore. Lui, giovane avvocato appartenente alla classe sociale dell’alta borghesia, precisino e ordinario, lei sognatrice, con una personalità fuori dagli schemi convenzionali e di bassa estrazione sociale, si conoscono casualmente ad una festa un mese prima del matrimonio. Sin dal prime battute emerge una sensazione di studio ed esplorazione dei due personaggi, nel nuovo ruolo di marito e moglie, e delle ragioni che li hanno condotti al matrimonio. In particolare, emergono i mancati sogni di Giuliana (alias Monica Vitti), che dalla Romagna si trasferisce a Roma per fare l’attrice ma riesce solo a trovare un modesto lavoro in un negozio di dischi, l’innamoramento per tale Manolo e infine la gravidanza e il doloroso aborto.
Tutto procede pacatamente senza grossi ostacoli, con dibattito aperto e schietto, fino all’insorgenza del primo argomento di conflitto serio, un classico di tutti i tempi, ovvero l’arrivo della suocera, la madre di Pietro, che non approva l’unione e diventerà argomento di riflessione facendo emergere le normali frustrazioni e debolezze all’interno del matrimonio.
Ma tutto viene ridimensionato dall’atteggiamento leggero di Giuliana, che combina un guaio dietro l’altro, facendo sorridere Pietro della sua palese “allegria“, che in tal modo assurge a caratteristica fondamentale del matrimonio, necessaria ad assicurare l’unità della famiglia e la mutua assistenza materiale e morale tra i coniugi.
Occorre osservare, sotto il profilo culturale, come la pellicola cinematografica, così come la pièce firmata Natalia Ginzburg, pone i due coniugi sopra un piano di parità, rispetto ai quali la suocera è “altro e diverso” su un piano astratto (intesa più come pregiudizio). Tale condizione di parità corrisponde all’affermarsi di “costume più evoluto” nell’ambito dei rapporti matrimoniali sotto il profilo del diritto privato e del diritto costituzionale, che porterà di lì a poco alla nascita della legge sul divorzio (Legge 1º Dicembre 1970, n. 898), entrata in vigore il 18 Dicembre 1970.
Sotto il profilo legale, come precisato dalla giurisprudenza costituzionale “i rapporti fra coniugi sono disciplinati invece dall’art. 29 della Costituzione, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, afferma l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e dispone che questa eguaglianza possa subire limitazioni soltanto a garanzia dell’unità familiare. Nel sancire dunque sia l’eguaglianza fra coniugi, sia l’unità familiare, la Costituzione proclama la prevalenza dell’unità sul principio di eguaglianza, ma solo se e quando un trattamento di parità tra i coniugi la ponga in pericolo“.
Ne consegue che, “fra i limiti al principio di eguaglianza, siano da annoverare quelli che riguardano le esigenze di organizzazione della famiglia, e che, senza creare alcuna inferiorità a carico della moglie, fanno tuttora del marito, per taluni aspetti, il punto di convergenza dell’unità familiare, e della posizione della famiglia nella vita sociale. Ciò indubbiamente autorizza il legislatore ad adottare, a garanzia dell’unità familiare, talune misure di difesa contro influenze negative e disgregatrici“. (Corte Costituzionale n. 126/1968)