La nozione di uso della cosa comune si ricava dalla disposizione dell’art. 1102 del Codice Civile:
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Secondo la giurisprudenza di legittimità la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo [dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione], implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Rientra, infatti, nella facoltà di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa, anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. n. 26703 del 2020; conf. Cass. n 1708 del 1998; Cass. n. 10704 del 1994; Cass. n. 1899 del 1962).
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso
della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 26703 del 2020, cit.).
Corte di Cassazione, Sez. II civ., ordinanza n. 12685 del 21.04.2022 (Nel caso di specie i giudici di merito avevano dunque giustamente rilevato come la modifica effettuata dalle ricorrenti ai beni condominiali ne avesse alterato la destinazione, dovendosi come tale considerarsi vietata ai sensi dell’art. 1102 c.c.) (Cass. n. 13600 del 2004; Cass. n. 10453 del 200, 1’uso particolare del cortile comune da parte di un singolo condomino era legittimo a condizione che non escludesse per gli altri la possibilità di fare del cortile medesimo analogo uso particolare).