La “Venere di Urbino” è un dipinto (olio su tela, cm 119×165) realizzato intorno all’anno 1538 dal pittore veneziano Tiziano Vecellio, e attualmente conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze.
Nel dipinto la “Venere di Urbino” Tiziano mostra sulla tela la dea, completamente nuda, sdraiata su un letto con un braccio poggiato su due cuscini e nella mano stringe dei fiori distesa mentre con l’altra mano si copre le parti intime, con chiaro riferimento alla Venus pudica. La scena si svolge in un ambiente interno e familiare e sulla parte destra dell’opera sono raffigurate una domestica e una bambina mentre frugano all’interno di un baule, e più in là sullo sfondo si intravede, oltre la colonna, un paesaggio in lontananza.
Lo sguardo dolce e malizioso è diretto vero lo spettatore mentre in basso è raffigurato un cagnolino, simbolo della fedeltà (coniugale). Il corpo della dea, senusale e erotico, è delineato con forme morbide e armoniose e, sotto alcuni profili, rimanda alla “Venere dormiente” del Giorgione, realizzata nel 1510.
In tal senso, la nudità del corpo, l’ambiente interno e familiare della scena, il cagnolino ai piedi della dea, i fiori nella mano, sembrano alludere all’amore e ai doveri coniugali della donna all’interno del matrimonio.
Il dipinto la “Venere di Urbino” viene realizzato da Tiziano su commissione Guidobaldo II Della Rovere, figlio di Eleonora Gonzaga (figlia di Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova e di Isabella d’Este), la quale si oppone alla richiesta del figlio non elargendo il denaro necessario per l’acquisto dell’opera. Il dipinto rimane, pertanto, nella bottega del pittore. Solo qualche tempo dopo il dipinto arriva ad Urbino, presso il committente Guidobaldo II Della Rovere ed acquista la funzione una sorta di omaggio allegorico per la moglie Giulia da Varano, la quale è molto giovane e inesperta.
Tre secoli dopo, Édouard Manet nella realizzazione della celebre “Olympia” trae ispirazione da diverse opere, in particolare dalla “Venere di Urbino” di Tiziano.