Nell’ambito della dottrina e della giurisprudenza si è posto il problema della sorte dell’eventuale costituzione di parte civile in giudizio e/o dell’eventuale statuizione di condanna per la responsabilità civile pronunciata dal giudice di primo grado, nelle ipotesi di abolitio criminis ovvero reati trasformati in illeciti civili.
Indubbiamente, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile nel giudizio di primo grado ed il processo sia definito con sentenza di assoluzione “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, il giudice non può pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno, con la conseguenza che la parte civile può riassumere il procedimento innanzi al giudice civile.
Depone in questo senso il chiaro dettato dell’art. 538 C.p.P. a norma del quale il giudice decide sulla domanda per le restituzioni ed il risarcimento del danno solo quando pronuncia sentenza di condanna.
Più problematico è certamente il caso in cui sia già intervenuta una sentenza di “condanna” (in primo o secondo grado), avverso la quale sia proposta impugnazione.
La giurisprudenza di legittimità aderisce alla tesi secondo la quale dall’assenza di una norma transitoria che disponga, in modo esplicito, che il giudice dell’impugnazione è tenuto a pronunciarsi in ordine agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili non consegua che le statuizioni in questione debbano essere revocate.
Certamente tale obbligo non può dedursi dalla circostanza che l’art. 578 C.p.P. prevede espressamente che il giudice dell’impugnazione sia tenuto a pronunciarsi in ordine agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili in caso di dichiarazione di reato estinto per prescrizione o per amnistia.
L’art. 578, infatti, pone una eccezione alla “regola” generale del collegamento in via esclusiva tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato, così come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Si tratta di disciplina speciale, non suscettibile di essere estesa analogicamente ad altre cause estintive.
Possono individuarsi anche altre disposizioni che impongono al giudice penale di pronunciarsi sulle statuizioni circa il risarcimento dei danni derivanti da un fatto ancora “civilmente” rilevante.
In base all’art. 2, comma secondo, C.p. l’intervenuta “abolitio criminis” determina la cessazione dell’esecuzione e degli “effetti penali” della condanna; dal tenore della norma si evince chiaramente, argomentando a contrario, che le “obbligazioni civili” nascenti dal fatto illecito non “cessano”.
D’altronde, la revoca della sentenza di condanna (divenuta definitiva) per abolitio criminis non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata.
Né può giustificarsi una differente soluzione nel caso di revoca della sentenza di condanna per sopravvenuta abolitío criminis (revoca la cui portata viene circoscritta agli effetti penali e con esclusione di quelli civili) e nel caso in cui una sentenza di condanna è intervenuta ma non è ancora irrevocabile.
Il collegamento “in via esclusiva” sancito dall’art. 538, comma 1, C.p.P. tra la decisione sulla domanda della parte civile e la condanna dell’imputato non può leggersi in maniera limitata alla sola condanna “definitiva”.
A riscontro di ciò va rilevato che gli effetti sul piano processuale della abolitio criminis non possono essere, per coerenza, diversi da quelli previsti sul piano sostanziale, laddove è stato previsto che al diritto del danneggiato dal reato al risarcimento del danno non si applicano i principi attinenti la successione nel tempo delle leggi penali, fissati dall’art. 2 C.p., ma il principio stabilito dall’art. 11 delle preleggi.
Pertanto, il diritto al risarcimento permane anche a seguito di abolitio criminis, nulla rilevando successive modifiche legislative, che non abbiano espressamente disposto sui diritti quesiti.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 31627 Anno 2016
la domanda che mi pongo è se l’abolitio interviene dopo la condanna di primo grado.
quale è la conseguenza?
grazie
Il Giudice competente, in tal caso il giudice d’ appello, ai sensi dell’art. 2 C.p. dichiara che il fatto non è previsto dalla legge come reato.