Atti persecutori

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Definizione ed analisi della norma di cui all’art. 612 bis c.p.

Perchè sussista la fattispecie delittuosa degli atti persecutori introdotta dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, invero, è necessario il ripetersi di una condotta di minaccia o di molestia. Le condotte, inoltre, debbono produrre l’effetto di provocare disagi psichici (un perdurante grave stato d’ansia o di paura) ovvero timore per la propria incolumità e quelle delle persone care o ancora una alterazione delle proprie abitudini di vita.

Il quid pluris che caratterizza il reato di atti persecutori rispetto alle minacce e alla molestie, in sintesi, è costituito da due elementi:

a) la reiterazione delle condotte, sicchè l’illecito può ascriversi nel novero dei reati abituali;

b) la produzione di un grave e perdurante stato di ansia o di paura o di un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva o una alterazione, non voluta, delle proprie abitudini di vita. Si tratta, quindi, di un delitto di danno e di evento, sebbene la norma, richiedendo la determinazione di uno stato di ansia “grave” o di un “fondato” timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto sembra evocare una valutazione di idoneità ex ante della condotta.

Il dolo richiesto dalla norma è generico e deve necessariamente ricomprendere anche la rappresentazione dell’evento quale conseguenza della reiterata abituale voluta dal suo autore.

La fattispecie dell’art. 612 bis c.p. prevede una clausola espressa di sussidiarietà. Deve ritenersi, in linea generale, che detto reato non possa concorrere con quello di maltrattamenti, nel quale gli atti persecutori sono assorbiti. 

Tribunale di Napoli, sezione IV, ordinanza 30 giugno 2009

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