Ripristino del regime della comunione legale
Il ripristino automatico (ex intervallo) dell’originario regime patrimoniale legale di comunione, tra coniugi separatisi, in conseguenza di successiva riconciliazione ex art. 157 cit., possa, o non, espletare i suoi effetti anche nei rapporti esterni, in assenza di alcuna forma di correlativa pubblicità ed in presenza di annotazione, invece, di un precedente (definitivo) provvedimento di separazione giudiziale.
Si tratta di questione che non è stata affrontata “ex professo” dalla richiamata sentenza della Corte n. 11418/98.
Detta sentenza – in una controversia che atteneva esclusivamente ai rapporti interni tra coniugi, relativamente alla “efficacia, tra gli stessi, dell’acquisto effettuato da uno solo di essi dopo l’evento riconciliativo” – si è posta ben vero il quesito, a monte, se “gli effetti della separazione” – che, ai sensi dell’art. 157 c.c., “i coniugi possono far cessare, senza l’intervento del giudice“, con una “espressa dichiarazione” o con un “comportamento non equivoco” di riconciliazione – siano soltanto quelli (c.d. “permanenti” da taluna dottrina) di cui ai precedenti artt. 156 e 155 (obbligazione di mantenimento, assegnazione della casa coniugale ed affidamento della prole), ovvero anche l’effetto (c.d. istantaneo) di “scioglimento della comunione” (ricollegato, appunto, alla separazione personale dall’art. 191 c.c.).
E prendendo posizione al riguardo – dopo diffusa e meditata analisi delle varie (estremamente divaricate ed articolate) proposte esegetiche formulate in dottrina – quella sentenza ha ricostruito il quadro effettuale, ricollegato alla sequenza “matrimonio – separazione-riconciliazione“, con adesione alla soluzione interpretativa per cui “é del tutto aderente al sistema delineato dal legislatore della riforma che, posta nell’art. 191 c.c. la separazione personale come causa di scioglimento della comunione dei beni, si ripristini automaticamente tra i coniugi, una volta rimossa con la riconciliazione la causa di scioglimento della comunione, quel regime di comunione originariamente adottato, esclusa ovviamente ogni retroattività per gli acquisti effettuati durante il periodo di separazione“.
E se é pur vero che la stessa sentenza n. 11418 cit. ha segnalato il “problema” dell’assenza di previsione normativa di specifici atti formali di pubblicità della riconciliazione, diversamente da quanto espressamente invece disposto con riguardo alle causa di scioglimento della comunione (ivi comprese, contra Cass. 12098/98, le sentenze di separazione personale ex artt. 4, 23 L. n. 74/87), ciò ha fatto, però, quella sentenza incidenter tantum, al solo fine di escludere che la rilevata carenza normativa potesse, in tesi, influenzare, in senso ostativo o limitativo, il riespandersi automatico (per effetto della riconciliazione) dell’originario regime di comunione, subordinandolo (come pur sostenuto da autorevole dottrina) alla stipula di una convenzione ad hoc tra i coniugi riconciliati.
Per cui – ribadito l’automatismo del ripristino di “qual regime di comunione che integra una delle scelte fondamentali del legislatore della riforma, coerentemente la sentenza in esame ha, quindi, sottolineato che “restano ovviamente aperti i problemi di tutela dei terzi”; problemi non coinvolti, in quel caso, dall’oggetto della lite, attinente alla ricognizione degli effetti della riconciliazione per il profilo esclusivo dei rapporti (patrimoniali) tra i coniugi.
La posizione – e le connesse esigenze di tutela dell’affidamento – dei terzi, rispetto al mutamento del regime patrimoniale dei coniugi (con cui vengano a contrarre), conseguente “ex se” all’evento riconciliativo, vengono dunque propriamente qui per la prima volta in rilievo.
Per cui in difetto di alcuna segnalazione esterna di quell’evento, secondo le norme generali che governano la pubblicità delle vicende giuridiche a tutela dei terzi – l’intervenuto nuovo mutamento del regime patrimoniale della famiglia, per ripristino del regime originario di comunione con sovrapposizione a quello di separazione dei beni (conseguente alla precedente separazione personale dei coniugi), pur già operante tra i coniugi stessi, dalla data della loro riconciliazione, non possa, però, essere opposto ai terzi che, come nella specie, abbiano acquistato in buona fede, a titolo oneroso, dal coniuge che risultava unico ad esclusivo titolare dell’immobile alienato, per averlo egli, a sua volta, acquistato, come da annotazione a margine dell’atto di matrimonio, in regime di separazione dei beni.
Una diversa interpretazione non sarebbe invero compatibile con i precetti costituzionali di tutela della buona fede dei contraenti e della correttezza del traffico giuridico (artt. 2, 41 Cost.) che vanno, in materia, bilanciati con il valore della parità dei coniugi anche sul piano economico (artt. 3, 29 Cost.), e non possono, quindi, essere a quello sacrificati.
Risultando, per altro, confermato, anche a livello codicistico, che una scissione dei profili effettuali -interni ed esterni – del regime patrimoniale dei coniugi è ben possibile, ed è anzi (in funzione delle rilevate esigenze di bilanciamento dei contrapposti interessi) necessitata: come si desume (sul piano sistematico) dalla disposizione dell’art. 162 ultimo comma cod. civ.. La quale – nell’escludere l’opponibilità ai terzi delle convenzioni matrimoniali sostitutive o modificative del regime legale di comunione, che non risultino “annotate a margine dell’atto di matrimonio” – disciplina una ipotesi speculare a quella di modifica, in senso inverso, del regime patrimoniale della famiglia, per ripristino della originaria comunione in luogo della separazione dei beni, instauratasi con lo scioglimento di quella comunione per effetto (ex art. 191 cit.) della separazione personale dei coniugi.
Corte di Cassazione civ. Sez. I, 5 dicembre 2003, n. 18619