Il principio di correlazione tra accusa e sentenza trova la sua tutela giuridica nell’art. 521 e segg. del Codice di Procedura Penale, il quale, nei suoi tre commi, stabilisce che: “Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica. Il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516 (Modifica dell’imputazione da parte del Pm), 517 (Reato connesso o circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento) e 518 comma 2 (Fatto nuovo risultante dal dibattimento). Nello stesso modo il giudice procede se il pubblico ministero ha effettuato una nuova contestazione fuori dei casi previsti dagli articoli 516, 517 e 518 comma 2“.
Secondo ius receptum, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Cass., Sez. U, n. 16 del 19 Giugno 1996; Cass., Sez. U, n. 36551 del 15 Luglio 2010; Cass., Sez. U, n. 31617 del 26 Giugno 2015).
Ne consegue che l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto” contenuta negli artt. 516 e ss. C.p.P. va coniugata, infatti, con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Cass., Sez. 2 n. 16817 del 27 Marzo 2008; tra le ultime Cass., Sez. 5 n. 21226 del 15 Settembre 2016).
Inoltre la contestazione non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (tra le altre Cass., Sez. 5, n. 51248 del 05/11/2014).
(cit. Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 13250 Anno 2021)