Secondo la giurisprudenza di legittimità configura il reato di molestie e non di atti persecutori un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà.
Invero, secondo l’orientamento consolidato della Corte di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di molestie previsto dall’art. 660 C.p., per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nell’altrui sfera di libertà. La pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato (e non è, quindi, riconducibile all’ipotesi del reato continuato; in tal senso, tra le molte, cfr. Cass., Sez. 1, n. 6064 del 6/12/2017; Sez. 1, n. 6908 del 24/11/2011; Sez. 1, n. 17308 del 13/3/2008).
Nel caso di specie, le condotte accertate, inizialmente qualificate nel prisma delittuoso degli atti persecutori, si inscrivono senza dubbio nel paradigma di tipicità del reato di molestie, sotto un profilo squisitamente oggettivo: i saluti insistenti e confidenziali, con modalità invasive della sfera di riservatezza altrui (con abbracci alla persona offesa); gli incontri non casuali e cercati nel luogo dove lavorava la vittima, come anche per strada, in un’occasione inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; la sosta sotto la sua casa; la manifesta rappresentazione della vittima al ricorrente di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante ed ossessivo e, ciononostante, la perseveranza di questi nel reiterarli inducono a ritenere del tutto corretta la configurazione del reato di molestie nel comportamento dell’imputato, pur in assenza di atteggiamenti aggressivi o in qualsiasi modo violenti. (Cass. Sez. V, n. 7993/2021)
E del resto, non è necessario superare la soglia della mera petulanza verbale o anche solo gestuale per ritenere configurato il reato di cui all’art. 660 C.p., – ché altrimenti potrebbero integrarsi altre e diverse fattispecie criminose – ma soltanto vi è bisogno di realizzare un’effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerati dall’attività di comunicazione in sé considerata, ed anche a prescindere dal suo contenuto (Cass., Sez. 1, n. 45315 del 27/8/2019, in una fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto integrata la contravvenzione nell’invio ripetuto di squilli telefonici e sms non graditi dal destinatario; vedi anche, per un rilievo del contenuto delle comunicazioni personali, Cass., Sez. 3, n. 1999 del 15/11/2019). (Cass. Sez. V, n. 7993/2021)