Il c.d. decoro architettonico in ambito condominiale trova una specifica tutela nell’art. 1120 C.c., laddove vieta “le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino“.
In via preliminare, prima di entrare nel merito, occorre ribadire i due principi indicati dall’art. 1120 C.c.: “I condomini, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio (come indicata dal quinto comma dell’articolo 1136 C.c.), possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni“. “I condomini, con la maggioranza la degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 C.c.), possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonché per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; 3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”.
Ma cosa succede se la materia del decoro architettonico dell’edificio viene regolato anche da norma convenzionale di divieto di alterazione del decoro dell’intero complesso (inserita nel regolamento condominiale)?
In tal caso non si può attribuire rilievo esclusivo alla disciplina legale, urtando, peraltro, con il principio secondo cui “in materia di condominio di edifici, l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell’interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l’esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini – possono derogare od integrare la disciplina legale ed in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva” (Cass., 6 ottobre 1999, n. 11121; ma anche Cass., 29 aprile 2005, n. 8883; Cass., 14 dicembre 2007, n. 26468). (Cassazione Sez. II Sentenza n. 1748 del 24.01.2013)