Delitto di atti persecutori e il reato di molestie. Differenze
Le differenze tra il delitto di atti persecutori e il reato di molestie sono tracciate dalla giurisprudenza di legittimità, sulla base degli orientamenti espressi dalla Corte di Cassazione sia in tema di elemento obiettivo che a proposito dell’evento del delitto di atti persecutori. La Corte ha operato una corretta ricostruzione del discrimen fra il delitto di cui all’articolo 612 bis e il reato di molestie, costituito dal diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, configurandosi il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Cass., Sez. 6 n. 23375 del 10/07/2020; conf. Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021).
Nel caso di specie è stato rilevato che i comportamenti ascritti all’imputato sono consistiti non solo nelle continue molestie, che già di per sé integrano, trattandosi di condotta che si ripete da anni, l’abitualità propria del delitto di atti persecutori, ma anche in danneggiamenti, imbrattamenti di varia natura dei luoghi di pertinenza delle persone offese e vere e proprie minacce. Il delitto previsto dell’art. 612-bis cod. pen., che ha natura di reato abituale e di danno, è, infatti, integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva non sono i singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento. In tal senso, l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici (di per sè già rilevanti penalmente), bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell’art. 612 bis (Cass., Sez. 5 – n. 7899 del 14/01/2019; conf. a Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016; Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014). E’ di tutta evidenza la rilevanza penale della condotta in esame, che si ripete da anni, in modo metodico, ai danni delle persone offese, che hanno spiegato di avere perso la propria tranquillità di vita, nel timore di subire ulteriori danneggiamenti o gesti molesti da parte dell’imputato. Per la varietà delle condotte, la loro durata e la carica spregiativa con cui si sono manifestate, i comportamenti denunciati sono idonei a creare nella persona offesa stati di disagio, di imbarazzo, di mortificazione, così da sfociare in un giustificato stato di ansia e di frustrazione generato dall’essere assoggettati alla interferenza dell’altrui agire con la propria sfera di vivibilità, che oggettivamente emerge dalle descritte condotte.
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 5 n. 35046 del 2021