In tema di diffamazione mezzo stampa si impone un progetto di revisione della materia in grado di “individuare complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare ogni indebita intimidazione dell’attività giornalistica“, e, dall’altro, “di assicurare un’adeguata tutela della reputazione individuale“.
Siffatta necessità è stata oggetto di interventi giurisprudenziali sia della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 13993/2021) che costituzionale (Corte Cost. ordinanza n. 132 del 26 giugno 2020).
La libertà di manifestazione del pensiero costituisce, prima ancora che un diritto proclamato dalla CEDU, un diritto fondamentale riconosciuto come “coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” (Corte Cost. sentenza n. 11 del 1968), “pietra angolare dell’ordine democratico” (Corte Cost. sentenza n. 84 del 1969), “cardine di democrazia nell’ordinamento generale” (Corte Cost. sentenza n. 126 del 1985 e, di recente, sentenza n. 206 del 2019).
Nell’ambito di questo diritto, la libertà di stampa assume un’importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel funzionamento del sistema democratico (Corte Cost. sentenza n. 1 del 1981), nel quale al diritto del giornalista di informare corrisponde un correlativo “diritto all’informazione” dei cittadini: un diritto quest’ultimo “qualificato in riferimento ai princìpi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale“, e “caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie […] in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti (Corte Cost. sentenza n. 112 del 1993, richiamata dalla sentenza n. 155 del 2002)” (Corte Cost. sentenza n. 206 del 2019).
Non v’è dubbio pertanto che l’attività giornalistica meriti di essere “salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta” (Corte Cost. sentenza n. 172 del 1972) che possa indebolire la sua vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte di chi detenga posizioni di potere.
Per altro verso, il legittimo esercizio, da parte della stampa e degli altri media, della libertà di informare e di contribuire alla formazione della pubblica opinione richiede di essere bilanciato con altri interessi e diritti, parimenti di rango costituzionale, che ne segnano i possibili limiti, tanto nell’ottica costituzionale quanto in quella convenzionale.
Fra tali limiti si colloca, in posizione eminente, la reputazione della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost. (Corte Cost. sentenze n. 37 del 2019, n. 379 del 1996, n. 86 del 1974 e n. 38 del 1973) e una componente essenziale del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, che lo Stato ha il preciso obbligo di tutelare anche nei rapporti interprivati, oltre che un diritto espressamente riconosciuto dall’art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Un diritto, altresì, connesso a doppio filo con la stessa dignità della persona (Corte Cost. sentenza n. 265 del 2014 e, nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis Cass., sezione quinta penale, sentenza 28 ottobre 2010, n. 4938), e suscettibile di essere leso dalla diffusione di addebiti non veritieri o di rilievo esclusivamente privato.
Il punto di equilibrio tra la libertà di “informare” e di “formare” la pubblica opinione svolto dalla stampa e dai media, da un lato, e la tutela della reputazione individuale, dall’altro, non può però essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni.
Il bilanciamento sotteso alle norme del codice penale e in quelle della vigente legge sulla stampa, e in particolare negli artt. 595 C.p. e 13 della Legge n. 47 del 1948, si impernia sulla previsione, in via rispettivamente alternativa e cumulativa, di pene detentive e pecuniarie laddove il giornalista offenda la reputazione altrui, travalicando i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca o di critica di cui all’art. 21 Cost.; limiti a loro volta ricostruiti dalla giurisprudenza civile (Cass., sezione prima civile, sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259) e penale (ex multis, Cass., sezione quinta penale, sentenza 12 settembre 2007, n. 34432) sulla base dei criteri tradizionali dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, della verità di essa (ovvero, nel caso di erroneo convincimento del giornalista relativa alla verità della notizia, nell’assenza di colpa nel controllo delle fonti) e della cosiddetta continenza formale.
Ciò esige una rimodulazione del bilanciamento in modo da coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet, il cui carattere lesivo per la vittima, in termini di sofferenza psicologica e di concreti pregiudizi alla propria vita privata, familiare, sociale, professionale, politica, e per tutte le persone a essa affettivamente legate risulta grandemente potenziato rispetto a quanto accadeva anche solo in un recente passato.
Un simile, delicato bilanciamento spetta in primo luogo al legislatore, sul quale incombe la responsabilità di individuare complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare ogni indebita intimidazione dell’attività giornalistica; e, dall’altro, di assicurare un’adeguata tutela della reputazione individuale contro illegittime aggressioni poste in essere nell’esercizio di tale attività.
Il legislatore, d’altronde, è meglio in grado di disegnare un equilibrato sistema di tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso a sanzioni penali non detentive nonché a rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in primis, l’obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono l’autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema democratico.
In questo quadro, il legislatore potrà eventualmente sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravità dal punto di vista oggettivo e soggettivo, fra le quali si iscrivono segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio.
Corte Cost. ordinanza n. 132 del 26 giugno 2020