La Corte di Cassazione è chiamata a dirimere il conflitto in ordine alla competenza per territorio nell’ambito del reato di diffamazione consumato attraverso una testata editoriale telematica.
Nel caso di specie due giudici rifiutano di prendere cognizione di un provvedimento, così determinando una situazione di stallo processuale, prevista dall’art. 28 C.p.P., la cui risoluzione è demandata alla Suprema Corte dalla norme successive.
Occorre premettere che il reato di diffamazione è un reato di evento, inteso quest’ultimo come avvenimento esterno all’agente e causalmente collegato al comportamento di costui.
Si tratta di evento non fisico, ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (o terzi) della espressione offensiva, che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano “terzi” rispetto all’agente ed alla persona offesa.
L’immissione di scritti lesivi dell’altrui reputazione nel sistema Internet integra il reato di diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 C.p.
Occorre, in proposito, precisare che il provider mette a disposizione dell’utilizzatore uno spazio web allocato presso un server.
Una volta inserite le informazioni, non si verifica alcuna “diffusione” delle stesse.
I dati inseriti non partono dal server verso alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere, attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale.
Ne consegue che, quand’anche esista un preciso luogo di partenza (il server) delle informazioni, lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell’evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato.
Il sito web sul quale viene effettuata l’immissione è, per sua natura, destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti.
Pertanto, quando una notizia risulti immessa sul sito web, la diffusione della stessa, secondo un criterio che la nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi, fino a prova del contrario.
Sulla base di tali premesse può, quindi, affermarsi che il locus commissi delicti della diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, dunque, nel luogo in cui il collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero, purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia.
Sulla base di quanto esposto, è possibile affermare che rispetto all’offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell’individuazione della competenza, sono inutilizzabili criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore.
Per entrambe le ragioni esposte non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia.
Ne consegue che non possono trovare applicazione né la regola stabilita dall’art. 8 C.p.P. né quella fissata dall’art. 9 C.p.P.
Attesa le peculiari modalità di diffusione di notizie lesive dell’altrui reputazione allocate in un sito web non può neppure sostenersi l’automatica trasposizione dei criteri fissati per i reati di diffamazione commessi con il mezzo della stampa in ordine al “luogo di stampa” e a quello di “registrazione” della testata giornalistica.
In tale contesto, ai fini della determinazione della competenza per territorio è necessario fare ricorso ai criteri suppletivi fissati dall’art. 9 comma 2 C.p.P., ossia al luogo di domicilio dell’imputato.
Cassazione n. 2739 Anno 2011