Divieto di reformatio in peius: presupposti giuridici

divieto di reformatio in peiusLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento ha affermato che in relazione alla divieto di reformatio in peius in conseguenza della derubricazione del reato, l’unico limite, imposto al giudice di secondo grado nel nuovo calcolo della pena da irrogare, deve essere ricercato nel limite di pena massima stabilita per la differente fattispecie delittuosa più grave.

Più precisamente, nell’ipotesi della derubricazione del reato, il giudice del gravame è chiamato, infatti, ad operare una nuova ed autonoma valutazione in forza dei criteri di cui all’ articolo 133 del Codice Penale, alla stregua di un mutamento strutturale degli elementi qualificatori del fatto – reato.

Pertanto, ai fini del divieto di reformatio in peius, il giudice investito del giudizio di appello allorchè procede ad una derubricazione del reato può anche modificare i parametri del calcolo della pena, purchè venga irrogata una sanzione in concreto non superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado.

Va, d’ altra parte osservato, che il concetto di minimo edittale non ha una “potenzialità espansiva esterna” rispetto alla specifica natura della fattispecie incriminatrice cui esso accede, giacchè ad ogni singola figura incriminatrice corrisponde un giudizio di disvalore che l’ ordinamento giuridico calibra proprio attraverso la previsione di un minimo e di un massimo edittale che, per ciò stesso, perviene soltanto a quella specifica ipotesi di reato.

Con la conseguenza che alla minima gravità di un reato non deve necessariamente corrispondere la “minima” gravità di altra ed autonoma figura criminosa.

Ne deriva che non risulta violato il divieto di reformatio in peius qualora nell’ ipotesi di derubricazione del reato il giudice in sede di appello stabilisca una pena base di entità maggiore rispetto a quella stabilita per l’originaria ipotesi di reato, purchè venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado.

Corte di Cassazione Sentenza n. 33563 anno 2016

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *