Con il termine ” slogan ” si fa riferimento ad uno scritto o una frase, spesso sintetica, che racchiude in sè il concetto, l’idea che si vuole esprimere. Ne consegue che per le sue caratteristiche e peculiarità lo slogan viene sovente utilizzato nell’ ambito della pubblicità e degli spot commerciali.
Si parla, in tal senso, di slogan pubblicitario o commerciale, quale elemento identificativo di un determinato brand.
Nonostante lo slogan conservi una sua creatività e originalità sovente non trova opportuna tutela nell’ ambito del diritto d’ autore, di cui alla Legge 22 Aprile 1941, n. 633, in quanto non viene classificato quale opera dell’ ingegno di carattere creativo che appartiene alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’ architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.
Il diritto di autore è correlato alla creazione dell’ opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale.
Soltanto in determinati casi la giurisprudenza di legittimità e di merito ha riconosciuto allo slogan la natura di opera di ingegno in quanto dotata di creatività, originalità e compiutezza espressiva e, quindi, tutelabile dalla legge sul diritto d’autore ( Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 1 Num. 13171 Anno 2016).
La Suprema Corte di Cassazione afferma che qualora, come sovente accade, l’ ideazione e la realizzazione dello slogan è oggetto di un preciso accordo, qualificabile come contratto di prestazione d’opera e che tale accordo è stato eseguito secondo le modalità e gli scopi programmati dalle parti, ne consegue che i diritti patrimoniali sull’opera sono stati ceduti al committente, mentre la determinazione del corrispettivo non costituisce un elemento essenziale del contratto.
Più precisamente l’esistenza di un contratto di prestazione d’opera tra l’autore dello slogan e il committente avente ad oggetto la realizzazione di un’opera dell’ingegno, e come tale soggetta alla disciplina del diritto d’autore, fa sì che l’autore ne conservi la paternità, in quanto creatore della stessa ma, per effetto del contratto di prestazione d’opera professionale, il committente acquisisce a titolo originario i diritti di utilizzazione economica nei limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto.
E neppure sussiste la violazione dell’art. 110 L.A., relativa alla trasmissione dei diritti di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno in mancanza di prova scritta.
La predetta disposizione, tuttavia, non è applicabile quando il committente abbia acquistato, a titolo originario, diritti di utilizzazione economica dell’opera, per effetto ed in esecuzione di un contratto (in forma libera) di prestazione d’opera intellettuale concluso con l’autore, coerentemente con il fatto che tale contratto implica il trasferimento dei diritti di sfruttamento economico pertinenti al suo oggetto e alle sue finalità.
In altri termini, non v’è stato un trasferimento dei diritti di utilizzazione economica dell’opera, nel senso considerato dall’art. 110 citato, ma l’esecuzione di un contratto d’opera professionale che ha consentito all’opera di venire alla luce, con la sua originalità e proteggibilità, e di essere acquisita in via originaria al patrimonio del committente, il quale era legittimato ad utilizzarla economicamente per gli scopi pubblicitari che erano stati concordati.
Per quanto concerne la questione relativa al compenso per la prestazione professionale commissionata la Corte afferma che la determinazione del compenso non costituisce elemento essenziale del contratto d’opera professionale, non essendovi in effetti alcuna presunzione di onerosità, nemmeno juris tantum.