La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la durata della prestazione di attività lavorativa non retribuita a favore della collettività.
Nel caso di specie la durata della prestazione di attività lavorativa non retribuita a favore della collettività veniva richiesta nell’ambito del patteggiamento con richiesta di sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione da parte del ricorrente di attività lavorativa non retribuita, Inoltre la durata della prestazione di attività lavorativa non retribuita a favore della collettività veniva parametrata a quella della pena richiesta, rimettendo al Tribunale solo la determinazione delle “modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, che ben possono essere disciplinate dal giudice o comunque delegate alla difesa, anche successivamente” e secondo le convenzioni di cui al D.M. 26 marzo del 2001.
L’art. 165, comma primo, C.p. prevede che la durata della prestazione di attività lavorativa non retribuita a favore della collettività debba avvenire “per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa“.
Con il che, si impone, per espressa previsione normativa, che venga stabilita in sentenza la durata dell’attività lavorativa, potendo essa non coincidere con la durata della pena sospesa.
Anzi, la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene in proposito che, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, cui può essere subordinata in mancanza di opposizione del condannato la sospensione condizionale della pena, ha una durata massima di sei mesi (ventisei settimane) e deve essere svolta prestando sei ore di lavoro settimanali e, quindi, per una durata complessiva non superiore alle centocinquantasei ore, salvo che il condannato chieda lo svolgimento della prestazione per una durata giornaliera superiore, che non può comunque eccedere le otto ore, in modo da abbreviarne i tempi di esecuzione. (Cass., Sez. 1, n. 32649 del16/06/2009; in motivazione, la S.C. ha affermato che la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività prevista dall’art. 165, comma primo, C.p. ha una durata definita a settimane e a mesi secondo il calendario comune, fermo restando che, a richiesta del condannato, può essere esaurita con modalità concentrate in un intervallo temporale effettivo diverso).
Si tratta di stabilire, a questo punto, a chi spetti indicare tale durata, se al giudice o all’imputato.
Sulla questione, la giurisprudenza di legittimità è più volte intervenuta, da ultimo consolidandosi nel senso di ritenere che, in tema di sospensione condizionale della pena, la richiesta incondizionata avanzata dall’imputato che ne abbia già usufruito, implica la non opposizione alla subordinazione della misura all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, comma primo, C.p. (nella specie, prestazione di attività lavorativa non retribuita in favore della collettività), e non necessita, quindi, di un’espressa manifestazione in tal senso, trattandosi di beneficio che può essere accordato per legge solo in maniera condizionata (Cass., Sez. 2, n. 29001 del 29/09/2020; precedenti conformi: Cass., n. 28568 del 2020; n. 12079 del 2020; n. 4426 del 2020; n. 19721 del 2019; n. 1665 del 2020).
Tuttavia, tali approdi di legittimità hanno riguardato la situazione processuale inerente ad un giudizio ordinario, nel quale l’imputato aveva fatto richiesta di applicazione del beneficio della pena sospesa rimettendone al giudice la valutazione, evidentemente in tutte le sue componenti, ivi compresa quella di interesse.
Nel caso di specie la richiesta di sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione da parte del ricorrente di attività lavorativa non retribuita, era profilata all’interno del rito ex art. 444 e segg. C.p.P., nel quale, come è noto, il giudice non ha alcun potere discrezionale sulla entità e natura della pena da applicare, dovendosi limitare a ratificare l’accordo tra le parti.
Ne consegue che, nell’ambito del procedimento di applicazione della pena, deve ritenersi che sia l’imputato a dover determinare, e, conseguentemente, indicare nella sua istanza, la durata del lavoro di pubblica utilità, non potendo il giudice compiere discrezionalmente tal tipo di valutazione, potendo egli determinare solo le modalità della prestazione, così come prevede l’art. 165, comma primo, C.p.
Per queste ragioni, deve darsi continuità al principio di diritto secondo il quale, in caso di richiesta di applicazione concordata della pena subordinata alla sua sospensione condizionale, le parti possono ulteriormente subordinare la concessione del beneficio all’imposizione di obblighi e in particolare alla prestazione da parte dell’imputato di attività non retribuita in favore della collettività, purchè specifichino il termine di durata della prestazione (Cass., Sez. 4, n. 17651 del 11/03/2008).
Corte di Cassazione, Sez. 2, n. 27633/2021