Fatto di lieve entità
Il “fatto di lieve entità“, è stato introdotto nell’ordinamento dal legislatore del 1990, all’art. 73, comma 5, T.U. stup., quale circostanza attenuante ad effetto speciale (Sez. U., n. 35737 del 24/06/2010; Sez. 4 n. 4240 del 16/04/1997).
Nella originaria formulazione (legge n. 162 del 1990) la norma prevedeva anche per i casi in cui “per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità o quantità delle sostanze” i fatti previsti dall’art. 73 T.U. stup. fossero “di lieve entità” una diversificazione di pena tra ed. droghe leggere e c.d. droghe pesanti, stabilendo la reclusione da uno a sei anni e la multa da cinque a centocinquanta milioni di Lire per le prime e da sei mesi a quattro anni e da due a venti milioni di Lire per le seconde.
Anche per il “fatto lieve” tale distinzione fu superata dal D.L. 30 dicembre 2005 n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 che previde un’unica sanzione, indipendente dal tipo di sostanze stupefacenti, da uno a sei anni di reclusione e da 3.000 a 26.000 Euro di multa.
L’articolo 73, comma 5, T.U. stup. fu trasformato in ipotesi autonoma di reato dall’art. 2 D.L. 24 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, che incise anche sui limiti edittali massimi (ridotti da sei a cinque anni di reclusione), lasciando inalterata sia la pena detentiva minima (un anno di reclusione) che quella pecuniaria.
Tale intervento normativo si rese necessario per adempiere all’obbligo – prescritto dalla sentenza della Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiai e altri c. Italia – di adottare incisive riforme per ridurre la presenza, fra la popolazione carceraria, dei soggetti tossicodipendenti, assai spesso detenuti a seguito della commissione di reati in materia di stupefacenti di contenuta gravità e assicurare migliori condizioni di vita penitenziaria.
La natura di reato autonomo della fattispecie è desumibile:
1) dalla Relazione di accompagnamento alla legge di conversione, ove si legge che “a fronte di ipotesi di allarme sociale generalmente contenuto, quali, a titolo esemplificativo, quelle riconducibili al cosiddetto ‘piccolo spaccio di strada’, che, in base all’esperienza giudiziaria, nella maggior parte dei casi è praticato dagli stessi consumatori, si ritiene ragionevole e conforme al principio di proporzionalità della pena, prevedere una fattispecie di reato con una disciplina sanzionatoria autonoma rispetto alle ipotesi tipizzate nei primi quattro commi dell’art. 73 del Testo Unico“;
2) dalla rubrica dell’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (“delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità“);
3) dalla clausola di riserva contenuta nel quinto comma, che, facendo riferimento ad un “più grave reato“, presuppone che il fatto di lieve entità sia esso stesso un reato;
4) dalla tecnica di formulazione della norma, che, prevedendo un soggetto attivo (“chiunque“) ed una condotta (“commette“), mutua il lessico proprio delle disposizioni autonomamente incriminatrici;
5) dall’intervenuta modifica, in sede di conversione del decreto legge, di alcune norme richiamanti quella novellata (ad esempio, l’art. 380, comma 2, lett. h), cod. proc. pen., nel quale l’inciso “salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo” è stato sostituito dall’inciso “salvo che per il caso dei delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo“).
La giurisprudenza della Corte, sulla base degli argomenti in precedenza riassunti, ritiene pacificamente che, dopo la novella del 2013, l’art. 73, comma 5, T.U. stup. costituisca una figura autonoma di reato (cfr. ex multis Sez. 4, n. 36078 del 06/07/2017; Sez. 4, n. 7363 del 09/01/2014).
Come rilevano in motivazione Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018 la norma in argomento è divenuta fondamentale “strumento di ‘riequilibrio’ e ‘riproporzionamento’ del sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti in relazione a casi concreti nei quali, per la complessiva non gravità della condotta, il principio di offensività verrebbe sostanzialmente ‘tradito’ applicando le più severe pene previste per le ipotesi diverse dal comma 5 dello stesso art. 73 T.U. stup.“.
L’avvenuta trasformazione da circostanza attenuante ad ipotesi autonoma di reato non ha comportato alcun mutamento nei caratteri costitutivi del fatto di lieve entità, che continua ad essere configurabile nelle ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione).
Sottraendo il fatto di lieve entità al giudizio di comparazione il legislatore ha voluto assicurare all’imputato che la cornice edittale di partenza, sulla quale operare aumenti e/o diminuzioni per aggravanti, attenuanti e riti speciali, sia sempre e comunque quella del quinto comma della norma incriminatrice, oltre che preservare la possibilità di ottenere – ricorrendone i presupposti – la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del marzo 2014, di poco successiva alla novella di cui alla legge n. 10 del 201-1, ci si era domandati se anche il “fatto lieve” di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. potesse essere interessato dalla pronuncia del giudice delle leggi, in considerazione della sua sopravvenuta disomogeneità rispetto alle condotte previste nei commi precedenti: mentre, infatti, le prime si basano nuovamente sulla distinzione tra droghe c.d. leggere e droghe c.d. pesanti e prevedono un trattamento sanzionatorio fortemente differenziato sulla base di questo presupposto, il nuovo quinto comma ignora tale distinzione, uniformando il trattamento sanzionatorio per tutte le condotte.
La lettura delle motivazioni della sentenza n. 32 del 2014 ha consentito, tuttavia, di fugare ogni dubbio, imponendo di concludere per la sopravvivenza di tale disposizione. Secondo la Corte costituzionale, infatti, le norme successive alla legge n. 49 del 2006 destinate a cadere per effetto della dichiarazione di illegittimità sono solo quelle che siano “divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni caducate“. E tale non è stato ritenuto il quinto comma, per il quale manca quel carattere di dipendenza dalla norma dichiarata incostituzionale, che il giudice delle leggi pone a base dell’effetto di “caducazione a cascata“. Ciò viene affermato espressamente dalla Corte costituzionale, che nella sentenza n. 32 del 2014 argomenta che “gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto legge n. 146 del 2013… in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima“.
Il D.L. 16 maggio 2014, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79 ha successivamente ridotto per l’art. 73, comma 5, T.U. stup. sia la pena detentiva (prevedendo una pena da sei mesi a quattro anni di reclusione) che quella pecuniaria (con una pena da 1.032 a 10.329 euro).
Il D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, è intervenuto, infine, sulla pena detentiva edittale massima, ricondotta al medesimo livello (cinque anni di reclusione) già previsto dal D.L. n. 146 del 2013, ed ha aggiunto un periodo finale al testo della disposizione, che prevede un trattamento sanzionatorio più grave per le condotte “non occasionali“.
Il testo attualmente vigente dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. è, pertanto, il seguente: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 10.329. Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da Euro 2.500 a Euro 10.329, quando la condotta assuma caratteri di non occasionalità“.
Nessuna delle descritte novelle ha inciso sui presupposti applicativi dell’istituto, rimasti inalterati fin dalla originaria formulazione della norma: i parametri che l’art. 73, comma 5, T.U. stup. considera sintomatici di un’offesa attenuata agli interessi protetti dalla norma, ovvero la salute collettiva e l’ordine e la sicurezza pubblici, continuano, così, a riguardare, per un verso, l’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze), e, per altro verso, l’azione, e dunque i mezzi, le modalità e le altre circostanze della stessa.
La scelta del reato autonomo si è palesata come irreversibile con il D.L. n. 123 del 2023, cit., che ha inteso ritagliare all’interno della fattispecie (autonoma) di lieve entità una fattispecie circostanziata di reato nel “fatto lieve non occasionale“, in quanto, a fronte dell’identica descrizione del fatto, sostanzialmente operata per relationem, unico elemento circostanziale è appunto la non occasionalità della condotta (dei criteri adottati da giurisprudenza e dottrina per accertare la volontà legislativa in ordine alla qualificazione circostanziale o costitutiva di una fattispecie, quando essa non sia espressamente manifestata, danno conto Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002, Fedi, Rv. 221663-01, sub par. 7 della motivazione).
Peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità formatasi in epoca precedente la modifica del 2023, la non occasionalità non è ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., come desumibile anche – in presenza di tutti i presupposti – dalla previsione di cui all’art. 74, comma 6, T.U. stup. (si vedano la recente Sez. 6, n. 11896 del 20/2/2023, Bile, non mass.; Sez. 3, n. 14017 del 20/02/2018, Caltabiano, Rv. 272706-01 che ha affermato che il fatto di lieve entità non è in astratto incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa; Sez. 6, n. 46627 del 20/10/2016, Bare, non mass.; Sez. 3 n. 20410 del 27/03/2015, Marangione, non mass, che ha chiarito che la minima attività rudimentale sinonimo di una non occasionalità della condotta di spaccio o detenzione dello stupefacente non è di per sé ostativa ad una valutazione del fatto in termini di minima offensività).
Deve essere evidenziato che la previsione di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. quale reato autonomo costituisce un unicum rispetto ad un sistema di diritto penale sostanziale in cui tutte le altre fattispecie di lieve entità del fatto (si pensi all’art. 648, comma 4, cod. pen. in materia di ricettazione; all’art. 5 legge 2 ottobre 1967, n. 895 in materia di armi; all’art. 609-bis comma 3 cod. pen. in tema di violenza sessuale; all’art. 311 cod. pen. in materia di delitti contro la personalità dello Stato; all’art. 323-bis cod. pen. in materia di reati contro la pubblica amministrazione) sono costruite come ipotesi circostanziali.
Con gli interventi susseguitisi a partire dal 2013 il legislatore ha creato una peculiare ipotesi di reato autonomo, che vive di elementi accessori circostanziali. Mentre il primo e il quarto comma dell’art. 73 hanno un nucleo comune attinente alla violazione più grave, il quinto comma della medesima disposizione individua una serie di elementi secondari e accidentali (qualità e quantità delle sostanze, mezzi, modalità, circostanze dell’azione) che, come osservato da una parte della dottrina, non definiscono normalmente la struttura del reato.
È stata, dunque, la trasformazione dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. da circostanza in ipotesi autonoma di reato a rendere necessaria ìa rielaborazione dei principi tradizionalmente affermati in materia di condotte concorsuali aventi ad oggetto sostanze stupefacenti. Prima di quel momento, si era ritenuto possibile riconoscere la circostanza attenuante del fatto lieve solo ad alcuni dei concorrenti nel medesimo reato, in applicazione del principio consolidato (cfr. Sez. 1, n. 10233 del 18/12/1987, dep. 1988, Berardi; Rv. 179471-01; Sez. 2, ordinanza n. 3866 del 29/11/1977, dep. 1978, Betti, Rv. 138014-01) in base al quale attenuanti e diminuenti possono avere riconoscimento differenziato tra coimputati a seconda della specifica posizione personale, senza determinare alcuna disparità di trattamento, spettando al giudice verificare la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge e riconoscerle, in presenza dei relativi presupposti, in favore della persona che le invoca.
La nuova natura dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. ha, quindi, portato giurisprudenza e dottrina ad interrogarsi sulla possibilità che, in caso di realizzazione plurisoggettiva del delitto contemplato da tale norma, il fatto possa essere ritenuto “lieve” soltanto nei confronti di alcuni concorrenti.
La soluzione della questione deve tenere conto dei caratteri strutturali dell’art. 73 T.U. stup. che disciplina ben ventidue diverse condotte, tra loro alternative, come univocamente sostenuto da dottrina e giurisprudenza, e come ribadito da Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-01.
Non si tratta di una disposizione a più norme, in quanto, come affermato da Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, cit. “ognuno dei primi cinque commi contiene… una norma a più fattispecie, atteso che negli stessi vengono tipizzate modalità alternative di realizzazione di un medesimo reato, come pacificamente riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che esclude la configurabilità di una pluralità di reati nel caso di realizzazione da parte dello stesso agente, nel medesimo contesto e con riguardo allo stesso oggetto materiale, di più condotte tra quelle descritte dalle singole disposizioni“.
Sez. U, Murolo, indipendentemente dalla realizzazione mono o plurisoggettiva, hanno, quindi, precisato che “non è dubbio che condotte consumate in contesti diversi – e che non abbiano ad oggetto il medesimo quantitativo di stupefacente o una sua partizione – realizzano fatti autonomi e che, qualora uno di essi possa essere qualificato di lieve entità, i reati rispettivamente integrati concorrono e, sussistendone i presupposti, possono essere unificati ai fini ed ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche a prescindere dalla omogeneità od eterogeneità delle sostanze che ne costituiscono l’oggetto”. Hanno, altresì, chiarito che: “La consumazione in tempi diversi ma in unico contesto di più condotte tipiche (inevitabilmente diverse tra loro) in riferimento al medesimo oggetto materiale (inteso nella sua identità naturalistica) integra… un unico fatto di reato, atteso che… quelle contenute nei commi 1 e 4 dell’art. 73 T.U. stup. sono norme miste alternative. La loro eventuale convergenza con la disposizione del comma 5 sull’unico fatto configurabile determina poi un concorso apparente tra norme incriminatrici che, come pure si è già illustrato, deve essere risolto in favore di quest’ultimo qualora il fatto medesimo venga ritenuto di lieve entità“.
Dunque, tenuto fermo il principio che in caso di realizzazione da parte dello stesso soggetto di più condotte tra quelle alternativamente delineate dall’art. 73 T.U. stup. prevale quella che contiene logicamente le altre, a diverse conclusioni si deve pervenire allorquando le diverse ed alternative condotte siano poste in essere da plurimi soggetti concorrenti.
Sul punto la giurisprudenza consolidata di questa Corte riconosce la possibilità di una diversa qualificazione giuridica delle condotte dei concorrenti: “Soccorre la natura di reato a più condotte tipiche in cui si sostanzia l’ipotesi delittuosa disciplinata dall’art. 73 T.U. stup., cosicché si può ritenere possibile individuare distinti reati quante volte le differenti azioni tipiche (acquisto, trasporto, detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale. Solo in questo caso sarà possibile attribuire alle condotte poste in essere dai coimputati nell’ambito di un medesimo contesto una diversa qualificazione giuridica” (Sez. 4, n. 30233 del 07/07/2021, D’Agostino, Rv. 281836-01). E, nello stesso solco, Sez. 4, n. 6648 del 26/01/2022, Pintore, non mass., afferma che “è possibile individuare distinti reati quante volte le differenti azioni tipiche (acquisto, trasporto, detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale“. Conseguenzialmente, come afferma Sez. 4, n. 22212 del 03/03/2021, Comes, non mass, “la condotta del venditore, soggetto dotato di maggiori contatti e canali di approvvigionamento, il quale svolge professionalmente e reiteratamente la sua attività, può essere ritenuta più grave, mentre quella dell’acquirente, in quanto limitata a quantitativi singoli, più sporadica nel tempo e sganciata da stabili rapporti con i grandi canali di approvvigionamento della criminalità organizzata, può essere qualificata di minore gravità“.
Il reale perimetro del contrasto concerne, invece, quelle ipotesi in cui la contestazione ponga a carico dei concorrenti, spesso in termini generici, la medesima condotta tipica.
A giudizio delle Sezioni Unite, in relazione al delitto di cui all’art. 73, commi 1 e 4, T.U. stup., il medesimo fatto ascritto a diversi imputati può essere contestualmente suscettibile di qualificazioni giuridiche diverse, quando, all’esito di una valutazione complessiva, emerga che le condotte di alcuni compartecipi esprimono un diverso grado di disvalore oggettivo e soggettivo. Dunque, quando il contributo fornito da uno dei coimputati si caratterizzi per mezzi, modalità e/o altre circostanze rivelatore di un più tenue livello di offesa ai beni giuridici protetti, per lui solo potrà intervenire la derubricazione del fatto nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup.
Tale conclusione non mette in discussione la persistente validità, in termini sistematici generali, della concezione unitaria del reato concorsuale, in quanto le norme di cui al primo e al quarto comma, da un lato, e quella di cui al quinto comma dell’art. 73, dall’altro, si pongono tra loro in rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 cod. pen., nel senso che le prime due hanno carattere di norma generale e la terza di norma speciale.
La norma speciale è concordemente individuata in “quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale” (Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012, Micheli, Rv. 252453-05; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 24886401).
Tuttavia, nel tempo la giurisprudenza di questa Corte ha differenziato i criteri alla cui stregua effettuare la preliminare operazione di raffronto tra le norme onde ricavare, o meno, appunto, la “ricomprensione” dell’una nell’altra. In alcune iniziali pronunce si è fatto riferimento alla necessità di guardare alla identità del bene giuridico tutelato (Sez. U, n. 9568 del 21/04/1995, La Spina, Rv. 202011-01), mentre successivamente si è affermata la necessità di avere riguardo al confronto tra le fattispecie astratte.
Secondo gli approdi da considerare ormai stabilizzati e reiteratamente espressi dalle Sezioni Unite, il criterio di specialità è da intendersi in senso logico formale: il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola relativa alla individuazione della disposizione prevalente, può ritenersi integrato “solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse” (Sez. U. n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668-01; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano; Sez. 5, n. 2121 del 17/11/2023, Sioli, Rv. 285843-01; Sez. 1, n. 12340 del 15/11/2022, dep. 2023, Baldassarre, Rv. 284504-01).
Anche la Corte costituzionale, in più occasioni, ha affermato la natura strutturale del principio di specialità ex art. 15 cod. pen., che implica la “convergenza su di uno stesso fatto di più disposizioni, delle quali una soia è effettivamente applicabile, a causa delle relazioni intercorrenti tra le disposizioni stesse“, dovendosi confrontare “le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente unico” (Corte cost., sent. n. 97 del 1987). I giudici delle leggi hanno poi aggiunto che “per aversi rapporto di specialità ex art. 15 cod. pen. è indispensabile che tra le fattispecie raffrontate vi siano elementi fondamentali comuni, ma una di esse abbia qualche elemento caratterizzante in più che la specializzi rispetto all’altra” (Corte cost., ord. n. 174 del 1994).
La giurisprudenza di questa Corte ha altresì stabilito che l’art. 15 cod. pen. si riferisce alla sola “specialità unilaterale“, giacché le altre tipologie di relazioni tra norme, quali la “specialità reciproca” o “bilaterale“, non evidenziano alcun rapporto di genus a speciem (tra le tante, Sez. 4, n. 21522 del 02/03/2021, Bossi, non mass, sul punto; Sez. 5, n. 27949 del 18/09/2020, Di Gisi, non mass, sul punto; Sez. 4, n. 29920 del 17/01/2019, Padricelli, Rv. 276583-01, tutte ricollegabili al dictum di Sez. U, n. 41588 del 22/06/ 2017, La Marca, non mass, sul punto). Ha, poi, sottolineato la eccentricità dei criteri di “sussidiarietà“, “assorbimento” e “consunzione“, suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti, e la loro estraneità all’unico criterio legale previsto, ovvero quello di specialità positivizzato dall’art. 15 cod. pen. (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, cit., non. mass, sul punto; Sez. 1, n. 12340 del 15/11/ 2022, dep. 2023, Baldassarre, cit.). Sez. U. n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, cit. hanno espresso in proposito il condivisibile principio secondo cui: “Nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri diversi da quelli stabiliti all’art. 15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra norme, effettuata dal legislatore“.
In applicazione di tali principi, l’art. 73, comma 5, T.U. stup. è, dunque, da ritenersi norma speciale, in quanto contiene, da un lato, tutti gli elementi costitutivi dell’art. 73, commi 1 e 4, T.U. stup., che hanno valenza di norme generali, e presenta, dall’altro, quali requisiti propri e caratteristici, con funzione specializzante, i “mezzi, modalità o circostanze dell’azione” ovvero la “qualità e quantità delle sostanze”, che portano a ritenere il fatto di lieve entità.
Non osta a tale ricostruzione la clausola di riserva iniziale del comma 5 (“salvo che il fatto costituisca più grave reato“), che sembrerebbe configurare un’ipotesi sussidiaria e sovvertire il criterio della prevalenza della fattispecie unilateralmente speciale. In proposito, Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, cit., hanno evidenziato come un’interpretazione in tal senso apparirebbe irragionevole ed incompatibile con la volontà del legislatore e con la stessa scelta di trasformare la fattispecie da circostanza attenuante in reato autonomo. Hanno, poi, significativamente chiarito che, al fine di rispettare la chiara intenzione del legislatore, deve ritenersi che la clausola di riserva espressa sia stata introdotta “per disciplinare l’eventuale o futuro concorso con altre fattispecie più gravi, ma diverse da quelle contenute nell’art. 73 T.U. stup., con le quali già si instaura una relazione di genere a specie” (così in motivazione, a pag. 11).
Va, inoltre, significativamente sottolineato che proprio tale ultima affermazione, pur resa in un contesto che non richiedeva in quel momento alcuna analisi della questione oggi all’esame delle Sezioni Unite, già prefigurava nella specialità il rapporto intercorrente tra le fattispecie dei commi primo e quarto, da un lato, e la fattispecie del quinto comma, dall’altro.
Dunque, qualora il medesimo fatto, contestato a diversi imputati in concorso tra loro, contenga elementi tali da fare ritenere integrata solo per taluni la fattispecie di cui all’art. 73 comma 5, T.U. stup. e per altri quella di cui all’art. 73, comma 1, T.U. stup., si versa al di fuori di un’ipotesi di concorso nel medesimo reato, essendosi in presenza di due reati diversi legati tra loro da un rapporto di specialità nei termini appena ricordati.
Deve aggiungersi come, in prospettiva, una tale configurazione del rapporto tra dette fattispecie possa anche riverberarsi sulla stessa formulazione dei capi d’imputazione, laddove, a fronte dei presupposti fattuali, sia già possibile distinguere, in nuce, tra le condotte dei “concorrenti“, quelle connotate da lieve entità.
Tale conclusione si presenta coerente tanto con la ratio che ha ispirato il legislatore nel 2013 che con il quadro costituzionale di riferimento.
Ed invero, ai fini di una corretta ermeneusi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., costituzionalmente orientata, si deve tenere conto, primariamente, delle ragioni che hanno indotto il legislatore del 2013 a trasformare la norma in ipotesi di reato autonomo. In primis, sussisteva la ricordata necessità – per evitare possibili censure sotto il profilo della compatibilità con i principi della personalità della responsabilità penale o della proporzionalità della pena – di sottrarne l’applicazione al giudizio di comparazione tra circostanze. A fronte, infatti, di prevalenza o equivalenza di concorrenti circostanze aggravanti o della recidiva, un imputato resosi responsabile di fatti di lieve entità sarebbe stato assoggettato alle più severe pene previste per il primo o per il quarto comma. In secondo luogo, si poneva l’esigenza di recuperare in prospettiva costituzionale la personale imputabilità all’agente di comportamenti realmente espressivi di un suo atto di determinazione.
La possibilità o meno per taluno dei concorrenti di vedere ricondotta la propria azione delittuosa alla previsione di cui all’art. 73 comma 5 T.U. stup., piuttosto che a quelle di cui all’art. 73, commi 1 e 4, del medesimo T.U., deve discendere, in altri termini, da comportamenti a lui direttamente riconducibili e al coefficiente psicologico rispetto alla fattispecie criminosa posta in essere.
Proprio in considerazione del fatto che la norma del comma 5 dell’art. 73 è speciale, il giudice, nell’ambito della valutazione complessiva della condotta e selezionando tutti gli indicatori previsti da tale disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-01) deve considerare gli elementi che “accomunano” il singolo agli altri correi e, contestualmente, quelli solo a lui strettamente pertinenti che, nella struttura della norma speciale, esprimono il necessario quid pluris rispetto alla norma generale.
Occorre, allora, verificare, in concreto, quali tra gli elementi tipici specializzanti presenti nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., pur nel contesto della valutazione complessiva richiesta da Sez. U. Murolo, possono essere valutati in senso diversificato per i concorrenti nel medesimo fatto.
Non paiono valorizzabili in tal senso “quantità e qualità delle sostanze“, cui si riferisce la norma, di regola uguali per tutti i concorrenti (se fossero diversificate si avrebbero già, ab origine, come detto sopra, singoli e diversi reati ascrivibili a ciascuno).
Vengono in rilievo, invece, “mezzi, modalità e circostanze dell’azione“, aspetti per i quali, tuttavia, s’impone una chiarificazione della portata applicativa.
Con riguardo alle circostanze dell’azione, va ricordato che Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, cit., hanno ricompreso tra le “circostanze dell’azione” anche le “circostanze soggettive tutte“. Tale principio, pur se affermato in un momento in cui la norma del quinto comma era ancora di previsione circostanziale, mantiene intatta la sua validità, attesa, come visto, la invariata struttura morfologica della fattispecie al di là del nomen iuris ad essa oggi attribuiti e per effetto della riforma del 2013.
Sotto tale profilo la Corte ha, del resto, nel tempo affermato che potranno essere valorizzate le finalità dell’attività delittuosa (si pensi al caso di una cessione occasionale), ovvero lo stato di tossicodipendenza del reo (che è, naturalmente, onere dell’imputato provare: come recentemente ribadito da Sez. 3, n. 23082 del 22/02/2022, Radicchi, Rv. 283235-01), che si ponga in “rapporto diretto” con la condotta, come quando, ad esempio, si accerti che l’imputato ha svolto una piccola attività di spaccio al fine di destinarne i proventi “all’acquisto di droga per uso personale” (Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264490-01). Al contrario, l’aspetto relativo alla tossicodipendenza non dovrebbe assumere pregnante rilievo in presenza di sistematiche cessioni operate in favore di un indiscriminato novero di acquirenti (Sez. 3, n. 16028 del 15/02/2018, Huillca, non mass., secondo cui “lo stato di tossicodipendente può rilevare sole se si accerti che lo spaccio non ha dimensioni ragguardevoli, sì da fare apparire verosimile che l’imputato ne destini i proventi all’acquisto di droga per uso personale“; Sez. 6, n. 44697 del 08/10/2013, Rizza, non mass.).
Sono stati, invece, ritenuti del tutto irrilevanti e non valorizzabili l’eventuale comportamento collaborativo serbato post delictum (Sez. 6, n. 3616 del 15/11/2018, dep. 2019, Capurso, Rv. 275044-01) ed i precedenti penali dell’imputato, che, a rigore, non afferiscono all’azione la cui “lievità” si intende apprezzare (Sez. 3, n. 13120 del 06/02/2020, Ilardi, Rv. 279233-01), a meno che non si evidenzi un collegamento oggettivo tra i fatti criminosi per i quali la persona è già stata condannata con sentenza irrevocabile e quelli oggetto del nuovo giudizio.
Va dunque affermato il principio di diritto per cui: “In tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente, il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo D.P.R.“.
Corte di Cassazione Sezione Unite Penale sentenza 11/07/2024, n. 27727