Foto felici e reato di stalking
La questione relativa al rapporto tra la sussistenza del reato di stalking a carico dell’imputato e la circolazione di foto felici che ritraggono la persona offesa viene affrontata dalla Suprema Corte di legittimità.
Invero nel caso di specie si contesta la sussistenza del reato di atti persecutori, ossia il mutamento delle abitudini di vita e il grave stato di ansia a fronte dei dati incontroversi rappresentati dal miglioramento, da parte della persona offesa, in particolare da foto che la ritraevano sorridente e tranquilla. Viene, pertanto, contestata la sussistenza di elementi probanti degli effetti della condotta perturbativi dello stato d’animo e delle abitudini di vita, con riguardi a sentimento di ansia, turbamento o paura.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità viaggia nel senso che la prova dell’evento del delitto di atti persecutori, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente e anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, Sentenza n. 17795 del 02/03/2017; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014).
Nel caso di specie quanto agli eventi del reato, la sentenza impugnata ha rilevato la prova del mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, costretta, oltre che a cambiare il numero di telefono, a evitare di frequentare posti in cui poteva incontrare l’ex fidanzato (compresa la chiesa) ovvero si faceva accompagnare da qualcuno. Rileva ancora il giudice di appello la sussistenza dello stato di ansia e di paura in cui la vittima era costretta a vivere a causa delle condotte persecutorie dell’imputato, tanto da aver sofferto di attacchi di panico e da avere perfino pensato al suicidio quando l’aveva minacciata di pubblicare sue foto intime.
Corte di Cassazione penale, sez. V, sentenza 15.02.2023, n. 06323