Saluto fascista
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità il “saluto fascista” accompagnato dalla parola “presente” integra la fattispecie dell’art. 2 del decreto-legge n. 122 del 1993, per la connotazione di pubblicità che qualifica tale espressione gestuale, evocativa del disciolto partito fascista, che appare pregiudizievole dell’ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi. Sul punto, è sufficiente richiamare il principio di diritto, secondo cui: «Il cosiddetto “saluto romano” o “saluto fascista” è una manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel D.L. 26 aprile 1993 n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993 n. 205 (misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) e inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico; ne consegue che il relativo gesto integra il reato previsto dall’art. 2 del citato decreto-legge» (Cass., Sez. 1, n. 25184 del 04/03/2009; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 37390 del 10/07/2007).
In questa cornice, deve rilevarsi che la natura di reato di pericolo astratto della fattispecie dell’art. 2 del decreto-legge n. 122 del 1993 impone, per la sua configurazione, che sia accertata l’idoneità della condotta a offendere il bene giuridico, contestualizzando il comportamento dell’agente attraverso un giudizio ex ante. Tale contestualizzazione presuppone un accertamento finalizzato a verificare se la condotta dell’imputato è astrattamente idonea a essere percepita come manifestazione esteriore o come ostentazione simbolica ed emblematica «delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654 […]».
Sulla legittimità costituzionale dei reati di pericolo astratto, del resto, la Corte costituzionale si è ripetutamente pronunciata (Corte cost., sent. n. 225 del 2008; Corte cost., sent. n. 286 del 1974), ribadendo la loro compatibilità con le norme costituzionali, a condizione che nelle fattispecie di volta in volta considerate siano rinvenibili elementi che consentano di ritenere dotate di attitudine offensiva le condotte illecite. Occorre, pertanto, verificare se il fatto concreto possieda tali connotazioni di offensività, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si concretizzava il comportamento criminoso da valutare secondo una prospettiva ex ante.
In questa cornice, non si può non ricordare che la Corte, in più occasioni, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975, cui l’art. 2 del decreto-legge 122 del 1993 rimanda, laddove vieta la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, per contrasto con l’art. 21 Cost., in quanto la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando trasmoda in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista. In tali occasioni, si evidenziava che l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi ha un contenuto fattivo di istigazione a una condotta che realizza un quid pluris rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali, rendendo manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate (Cass., Sez. 3, n. 37581 del 3/10/2008; Sez. 5, n. 31655 del 24/8/2001).
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 1 n. 21409 del 2019