Giulia Tofana (Palermo fine XVI sec. – Roma 1651) è passata alla storia per aver ucciso oltre 600 uomini, e, pertanto, la più famosa donna serial killer del seicento (operante tra il 1633 e il 1651, anno della sua morte).
Definita come fattucchiera e cortigiana della corte di Filippo IV di Spagna, Giulia Tofana era una donna siciliana di umili origini, tanto affascinante quanto audace e cinica.
A lei è stata attribuita la realizzazione dell’acqua tofana, un’acqua avvelenata incolore, inodore e insapore che vendeva a committenti donne, intrappolate in matrimoni combinati, in cui predominava la violenza fisica, i maltrattamenti e la completa marginalità della condizione femminile.
L’acqua tofana era una combinazione precisa di arsenico e antimonio, sulla quale vigeva il segreto professionale, che uccideva lentamente, senza sintomi evidenti, e, pertanto, non generava sospetti, soprattutto in concomitanza con l’emergenza sanitaria determinata dalla peste.
Sotto il profilo storico occorre affermare che la condizione della donna in pieno Seicento, soprattutto nel ceto aristocratico, era caratterizzata da una assoluta inferiorità rispetto agli uomini e da una mancanza di libertà, oscillando tra il matrimonio combinato dalla famiglia d’origine o il convento, contro la volontà personale.
Due alternative non proprio piacevoli per le donne che sottolineavano la loro completa sottomissione al dominio maschile, soprattutto all’interno dell’ambiente familiare, nella figura prima del padre e poi del marito.
E spesso si sceglieva il convento proprio per sfuggire ad un matrimonio di convenienza già stabilito dalla famiglia anni prima.
Le donne che non riuscivano ad evitare il matrimonio combinato si trovavano spesso intrappolate in rapporti malsani, caratterizzati da maltrattamenti e violenze, fisiche e psicologiche.
In un periodo storico in cui il divorzio non esisteva, molte di queste donne si rivolgevano a maghe e fattucchiere per ottenere veleni da somministrare agli ignari mariti.
Da Palermo Giulia Tofana si trasferì a Roma proprio per avere un ambiente più ampio in cui operare e organizzare la sua attività in modo imprenditoriale che, certamente, non tarda a decollare, annoverandola quale principale esperta in materia di veleni.
Purtroppo una delle clienti, la contessa di Ceri, ansiosa di liberarsi rapidamente e definitivamente del marito, non seguì le indicazioni di dosaggio, ovvero poche gocce al giorno, ma somministrò l’intera boccetta del veleno al consorte, provocandone la morte immediata e attirando, al contempo, i sospetti da parte dei parenti del defunto.
Ben presto i sospetti divennero prove a carico di Giulia Tofana, la quale venne imprigionata e torturata, ma poi rilasciata grazie alle sue conoscenze in ambito ecclesiastico e aristocratico.
La sua attività passò alla figliastra Girolama Spana, meno scaltra della Tofana e, per tal ragioni, fu sottoposta a processo insieme a Giovanna de Grandis, Maria Spinola, Graziosa Farina e Laura Crispolti, per la fabbricazione e la vendita dell’acqua tofana. Condannate a morte vennero impiccate sulla piazza di Campo de’ Fiori il 5 luglio 1659.
La sesta imputata, tale Cecilia Verzellini, riuscì a fuggire a Napoli, ma poco dopo venne catturata e trasportata a Roma, e anch’essa finì i suoi giorni impiccata a Campo de’ Fiori.