Il riparto di competenze tra Stato e Regioni per quanto concerne gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico è disciplinato dagli art. 136 e ss. del Codice dei beni culturali, il quale enuncia una serie di disposizioni.
Per immobili ed aree di notevole interesse pubblico si intende (art. 136 Codice dei beni culturali):
a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali;
b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;
d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
Le regioni istituiscono apposite commissioni, con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 136 e delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 del medesimo articolo 136. (art. 137 Codice dei beni culturali)
Le commissioni di cui all’articolo 137, … , valutano la sussistenza del notevole interesse pubblico, ai sensi dell’articolo 136, degli immobili e delle aree per i quali è stata avviata l’iniziativa e propongono alla regione l’adozione della relativa dichiarazione. La proposta è formulata con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono, e contiene proposte per le prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi.
È fatto salvo il potere del Ministero, … di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136. (art. 138 Codice dei beni culturali)
Sul piano delle competenze costituzionali attinenti ai beni paesaggistici, il giudice delle leggi ha già precisato che “la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni” (Corte Cost. sentenza n. 367 del 2007; in seguito, nello stesso senso, sentenze n. 66 del 2018, n. 11 del 2016, n. 309 del 2011, n. 101 del 2010, n. 226 del 2009, n. 180 del 2008 e n. 378 del 2007).
Da tale postulato conseguono alcuni corollari.
Anzitutto, è evidente che il potere conferito allo Stato di vincolare un bene in ragione delle sue intrinseche qualità paesaggistiche (Corte Cost. sentenza n. 56 del 1968) non costituisce una deviazione dall’impianto costituzionale, e tale attività non deve necessariamente confluire in un atto oggetto di “elaborazione congiunta” con la Regione interessata.
È vero il contrario: il conferimento allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), e con esso della potestà di individuare il livello di governo più idoneo ad esercitare le relative funzioni amministrative, rende del tutto coerente con il disegno costituzionale la previsione, oggi codificata dall’art. 138, comma 3, Codice dei beni culturali, secondo cui l’autorità statale possa autonomamente rinvenire in un bene le caratteristiche che lo rendono meritevole di tutela, anche se la Regione nel cui territorio il bene si trova dovesse essere di contrario avviso.
Tale principio, già espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 334 del 1998, a maggior ragione va ribadito nella vigenza del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, che ha ulteriormente rafforzato la competenza statale nel campo della tutela dell’ambiente.
Non vi è, perciò, alcunché di straordinario o di eccezionale nella potestà oggi riconosciuta ad un organo statale dall’art. 138, comma 3, Codice dei beni culturali, posto che essa, invece, è il naturale sviluppo delle attribuzioni dello Stato in tale materia.
Anzi, “è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione” (Corte Cost. sentenza n. 140 del 2015).
Naturalmente, nulla vieta alla legislazione statale di coinvolgere le Regioni nella funzione amministrativa di identificare i beni degni di tutela, tanto più che si tratta di un compito logicamente e giuridicamente distinto, ma senza dubbio preliminare, e perciò connesso, a successivi interventi di valorizzazione, che rientrano nella competenza concorrente (Corte Cost. sentenze n. 138 del 2020 e n. 140 del 2015).
Allo stato attuale della legislazione, ciò avviene sia mediante l’espressione di un parere regionale non vincolante nell’ambito del procedimento avviato dallo Stato, sia per mezzo dell’emanazione diretta, nel procedimento che fa capo alla Regione stessa, del provvedimento di tutela, ma sulla base della proposta alla quale è giunta una commissione cui devono partecipare anche organi statali (artt. 137 e 140 Codice dei beni culturali).
Infine, il piano paesaggistico, che ha una funzione di pianificazione necessariamente ricognitiva degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico, riveste anche una funzione eventualmente dichiarativa di nuovi vincoli (art. 143, comma 1, lettera d, Codice beni culturali), alla quale la Regione partecipa attraverso l’elaborazione congiunta di tale atto (da ultimo, Corte Cost. sentenza n. 240 del 2020).
Il legislatore ordinario si è perciò ispirato in tale materia ad una logica incrementale delle tutele che è del tutto conforme al carattere primario del bene ambientale, cui peraltro si riferisce, collocato fra i principi fondamentali della Repubblica, l’art. 9 Cost. (Corte Cost. sentenze n. 367 del 2007, n. 183 del 2006, n. 641 del 1987 e n. 151 del 1986).
Tale logica, dal lato della Regione, opera sul piano procedimentale per addizione, e mai per sottrazione, nel senso che la competenza regionale può essere spesa al solo fine di arricchire il catalogo dei beni paesaggistici, in virtù della conoscenza che ne abbia l’autorità più vicina al territorio ove essi sorgono, e non già di alleggerirlo in forza di considerazioni confliggenti con quelle assunte dallo Stato, o comunque mosse dalla volontà di affermare la prevalenza di interessi opposti, facenti capo all’autonomia regionale, come accade nel settore del governo del territorio.
Per questa ragione, è conforme al riparto costituzionale delle competenze che il piano paesaggistico regionale è tenuto a recepire le scelte di tutela paesaggistica, senza capacità di alterarle neppur sul piano delle prescrizioni d’uso. Altrimenti, esso potrebbe divenire l’occasione per ridurre lo standard di tutela dell’ambiente in forza di interessi divergenti, anziché la sede deputata a collocare armonicamente siffatti interessi sub valenti nella cornice già intagliata secondo la preminente prospettiva della conservazione del paesaggio. L’occasione, vale a dire, per degradare “la tutela paesaggistica, che è prevalente, in una tutela meramente urbanistica” (Corte Cost. sentenza n. 437 del 2008).
In particolare, il principio di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, ovvero di un atto di competenza della Regione, non significa che in difetto del consenso di quest’ultima lo Stato non possa vincolare alcun bene. Al contrario, esso indica che un’attività propria della Regione (e, alla quale, pertanto, va da sé che essa partecipi), ove confluiscano apprezzamenti attinenti sia al paesaggio, sia al governo del territorio, non possa essere esercitata unilateralmente, estromettendo l’autorità centrale dal processo decisionale (Corte Cost. sentenze n. 240 del 2020; n. 86 del 2019; n. 178 del 2018; n. 68 del 2018; n. 64 del 2015; n. 211 del 2013 e n. 437 del 2008).
Il secondo corollario, già ben presente nella giurisprudenza costituzionale, consiste infatti nella “prevalenza” assiomatica della tutela dell’ambiente sugli interessi urbanistico-edilizi (Corte Cost. sentenza n. 11 del 2016), quando, naturalmente, la dichiarazione di notevole interesse pubblico sia stata legittimamente adottata con riferimento alle categorie di beni elencate dall’art. 136 Codice dei beni culturali.
Non spetta perciò alla Regione opporre alla scelta di tutela conservativa compiuta dallo Stato l’esigenza di alterare il bene paesaggistico nell’ottica dello sviluppo del territorio e dell’incentivo alle attività economiche che vi si svolgono, mentre un profilo di intervento dinamico, che coinvolge la Regione, può legittimamente articolarsi in attività finalizzate alla promozione e al sostegno della conoscenza, fruizione e conservazione del patrimonio culturale (Corte Cost. sentenze n. 138 del 2020 e n. 71 del 2020).
Sotto tale aspetto, è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio che la dichiarazione di notevole interesse pubblico non si limiti a rilevare il valore paesaggistico di un bene, ma si accompagni a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, fino alla possibilità di vietarlo del tutto (Corte Cost. sentenze n. 246 del 2018 e n. 172 del 2018).
Con ciò, in linea di principio, la dichiarazione non si sovrappone alla disciplina urbanistica ed edilizia di competenza regionale e locale, ma piuttosto specifica se e in quale misura quest’ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione alla conservazione del pregio paesaggistico propria dell’immobile o dell’area vincolata.
Corte Costituzionale sentenza n. 164/2021