La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta al questione inerente la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità a seguito dell’inadempimento del condannato, sfociato in un sostanziale abbandono della prestazione, con correlativo ripristino della pena sostituita.
La fattispecie in esame concerne l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità in misura parziale, senza il conclusivo compimento dello stesso, in assenza di oggettivi impedimenti all’effettuazione del prosieguo della prestazione.
L’art. 186, comma 9-bis, D.lgs. n. 285 del 1992, dopo aver disciplinato la possibilità, per il reato previsto dalla medesima norma (al di fuori dell’ipotesi individuata e punita dal comma 2-bis), di sostituire la pena detentiva e pecuniaria, quando l’imputato non vi si opponga, con la pena del lavoro di pubblica utilità prevista dall’art. 54 D.lgs. n. 74 del 2000, stabilisce che il giudice procedente, o il giudice dell’esecuzione, dispone la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, con ripristino della pena sostituita, in caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
E’ stato, in modo condivisibile, precisato che il concetto di violazione degli obblighi inerenti alla prestazione del lavoro di pubblica utilità non è limitato all’inadempimento in senso stretto dell’obbligo di prestazione dell’attività non retribuita, quale può essere la mancata presentazione sul luogo di svolgimento del lavoro di pubblica utilità o la grave negligenza nella prestazione dell’attività, ma ricomprende anche quei comportamenti colpevoli dell’agente che, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono su di essa determinando la pratica impossibilità di prosecuzione della prestazione concordata con l’ente pubblico (Cass., Sez. 1, n. 34234 del 29/05/2015).
Diversa è invece la situazione nella quale il lavoro di pubblica utilità non risulti prestato per causa ascrivibile alla mancata organizzazione del corrispondente servizio da parte dell’ente designato.
Si è, in tal senso, precisato che, ai fini della sostituzione della pena detentiva o pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità, l’individuazione delle modalità attuative della predetta sanzione sostitutiva è demandata al giudice procedente, il quale non può imporre, per tale ambito, oneri al condannato, il quale ha la facoltà di sollecitare l’applicazione della sanzione sostitutiva, ovvero può dichiarare di non opporsi ad essa, ma non è tenuto a indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità, né ad avviare il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell’attività individuata (Cass., Sez. 1, n. 46555 del 25/05/2017; Cass., Sez. 4, n. 53327 del 15/11/2016; Cass., Sez. 1, n. 7172 del 13/01/2016; Cass., Sez. 1, n. 35855 del 18/06/2015).
In tal senso, trova conferma il principio che la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità comporta il ripristino della sola pena residua, computata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività, impregiudicata la configurabilità, nei congrui casi, dell’autonomo reato che la violazione abbia integrato, ex art. 56 D.Igs. (Cass., Sez. 1, n. 42505 del 23/09/2014) e a norma dell’art. 58, comma 1, D.Igs. n. 274 del 2000, secondo cui per ogni effetto giuridico (anche) la pena sostitutiva in parola si considera come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria.
Anche la giurisprudenza costituzionale si è espressa nel senso che l’art. 58 cit., stabilendo che per ogni effetto giuridico la pena del lavoro di pubblica utilità si considera pena della specie corrispondente a quella della pena originaria, costituisce una norma di natura speciale sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in questione alla generalità dei reati puniti con pene detentive allorquando risulti fissato un determinato criterio di ragguaglio.
Converge nel senso indicato la disciplina sanzionatoria di cui all’art. 56 D.lgs. n. 274 del 2000, secondo cui … se la violazione delle prescrizioni concernenti le pene sostitutive è tale da configurare addirittura gli estremi di un delitto, la relativa sanzione, in caso di violazione, si profila, impregiudicato il provvedimento revocativo succitato, esaurire le conseguenze determinate dall’inadempienza.
Non appare, pertanto, ragionevole gravare il condannato anche dell’efficacia ex tunc della revoca della pena sostitutiva, con integrale ripristino di quella originaria: effetto, del resto, non espressamente previsto dall’ordinamento e tale da vanificare il lavoro sostitutivo regolarmente svolto e da escludere qualsiasi effetto del rapporto fra pena originaria e pena sostitutiva.
Corte di Cassazione Sent. Sez. 1 Num. 21546 Anno 2020