Litigi tra i coniugi. Non sussiste necessariamente il reato di maltrattamenti in famiglia
I litigi tra i coniugi dai quali deriva un clima di tensione all’interno della coppia, con offese e vessazioni, non integra necessariamente il reato di maltrattamenti in famiglia.
Nel caso in esame dalla motivazione della sentenza impugnata non emerge una convivenza contraddistinta da un sistema abituale di vessazioni e di umiliazioni instaurato dall’imputato nei confronti della moglie: i giudici hanno fatto riferimento alla frequenza dei litigi tra i coniugi e ad un clima di tensione che sarebbe stato determinato dalle offese rivolte dall’imputato alla moglie, mentre hanno individuato un unico episodio di violenza, che ha determinato la persona offesa a presentare denuncia.
I maltrattamenti in famiglia integrano un’ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di comportamenti che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Tali comportamenti possono consistere in percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche in atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali.
In ogni caso, si deve trattare di comportamenti idonei ad imporre alla persona offesa un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
In altri termini, nel caso in esame, si evidenzia una convivenza difficile, conflittuale, in cui vengono a mancare i doveri di solidarietà tra coniugi, ma non risultano sottolineati fatti in grado di realizzare una pregnante offesa della integrità psicofisica della vittima, tali da farla precipitare in una condizione duratura di sofferenza e prostrazione. Nella nozione di maltrattamenti rientrano fatti lesivi dell’integrità anche solo morale del soggetto passivo, che possono consistere in parole che offendono la dignità della persona, purchè tale condotta abbia i caratteri della sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa, con conseguente intollerabile degenerazione del rapporto familiare.
Le singole condotte possono quindi costituire un comportamento abituale nella misura in cui rendono evidente l’esistenza di un programma criminoso animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo.
Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza 23.03.2015, n. 12065