La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che, nel presente articolo, si riporta in commento si pronuncia in merito alla deducibilità o meno del principio del ne bis in idem sostanziale dinanzi al Supremo Collegio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione la violazione del divieto del ne bis in idem sostanziale (ovvero il divieto di un secondo giudizio per gli stessi fatti) in quanto l’ accertamento relativo all’identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti (di primo grado e in grado di appello), intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, e nè è consentito alle parti produrre in sede di legittimità documenti concernenti elementi fattuali.
Inoltre, così come nella fattispecie concreta, qualora oggetto dell’ impugnazione mediante ricorso dinanzi la Suprema Corte di legittimità sia una pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi e per gli effetti dell’ articolo 444 Codice di Procedura Penale (c.d. patteggiamento), nella quali le parti hanno patteggiato la pena indicando il vincolo della continuazione tra i reati giudicati e quelli in accertamento, se ne ricava la conseguente esclusione della sussistenza in concreto del principio del ne bis in idem sostanziale.
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di sentenza di patteggiamento, la possibilità di impugnare la relativa pronuncia mediante ricorso dinanzi la Suprema Corte di legittimità deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’ eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità. (Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 35058 Anno 2016).
Per completezza espositiva il principio del ne bis in idem ha quindi finito con l’acquisire una forte connotazione sostanziale pur non perdendo quella processuale, posto che presuppone l’esistenza di un duplice procedimento. Inoltre, come più volte affermato dalla Corte Costituzionale, il principio del ne bis in idem trova, sebbene ivi non espressamente contemplato, saldo fondamento nella Costituzione (sentenze n. 381 del 2006, n. 230 del 2004 e n. 284 del 2003). Come incisivamente sottolineato dalla sentenza n. 200 del 2016, tale principio si correla agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto “è immanente alla funzione ordinante cui la Carta ha dato vita, perché non è compatibile con tale funzione dell’ordinamento giuridico una normativa nel cui ambito la medesima situazione giuridica possa divenire oggetto di statuizioni giurisdizionali in perpetuo divenire” ed è volto a evitare che il singolo possa essere esposto ad una spirale di reiterate iniziative penali per il medesimo fatto. (Corte Costituzionale sentenza n. 145/2020)