Con un primo arresto la giurisprudenza di legittimità ha statuito che la previsione di cui all’art. 26 D.P.R. n. 448 del 1988 impone al giudice di dichiarare immediatamente con sentenza, in ogni stato e grado del procedimento, il non luogo a procedere quando accerti che l’imputato sia minore degli anni quattordici, per non imputabilità dello stesso.
Ciò in considerazione del fatto che l’art. 97 C.p. stabilisce una presunzione assoluta di non imputabilità e, quindi, anche di assoluta incapacità processuale che prescinde dall’effettivo riscontro della capacità di intendere e volere in capo al minore infraquattordicenne.
Ne consegue che al giudice non è consentito il preventivo accertamento per verificare l’eventuale insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso al minore imputato prima della pronuncia di cui all’ art. 26 D.P.R. n. 448 del 1988, attesa l’ultroneità di qualsivoglia indagine in relazione ad un fatto che la legge non consente di perseguire.
Con un successivo arresto la giurisprudenza di legittimità ha assunto un indirizzo divergente, statuendo che la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 26 D.P.R. n. 448 del 1988, per non imputabilità del minore postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito.
Ciò in ragione dell’ operatività dell’art. 224 C.p., che prevede la possibilità di applicare la misura di sicurezza del riformatorio o della libertà vigilata per il minore non imputabile, se pericoloso.
Si ritiene, pertanto, che tale seconda indicazione giurisprudenziale sia da seguire a preferenza della prima, atteso che essa appare correttamente orientata secundum Constitutionem.
Invero, la formula terminativa di cui all’ art. 26 D.P.R. n. 448 del 1948, non può essere considerata ampiamente liberatoria, alla stessa stregua di quelle di cui all’art. 129 C.p.P. Conseguenza ne è la eventuale applicazione dell’art. 224 C.p..
Si profila, pertanto, una sostanziale incompatibilità tra il dettato del predetto art. 26 e quello del ricordato art. 224 C.p., atteso che il primo pretende che, preso atto della età infraquattordicenne della persona nei cui confronti le indagini sono state promosse o dovrebbero esserlo, il giudice emani sentenza di non luogo a provvedere, omettendo o sospendendo qualsiasi eventuale accertamento nel merito, mentre il secondo lascia aperta la possibilità, a seguito della decisione sopra indicata, della applicazione di provvedimenti anche fortemente incisivi sulla libertà personale o, quantomeno, su quella di movimento.
E ciò anche dopo che la Corte Costituzionale, con la sentenza 20/71, ha eliminato l’automatismo di cui all’art. 224 C.p., comma 2; anzi, a ben vedere, proprio l’abolizione di tale automatismo rende ancor più problematica la coordinazione tra le due norme, atteso che, da un lato, il giudicante deve immediatamente dichiarare non luogo a provvedere, una volta effettuato il semplice “accertamento anagrafico”, dall’altro, dovrebbe essere in grado di conoscere il merito e di “scandagliare” la personalità del minore, allo scopo di valutare la necessità di applicare la misura di sicurezza.
Conseguentemente, sembrerebbe permanere nell’ordinamento una situazione di contrasto e di stallo, con evidenti implicazioni circa la sospetta costituzionalità dell’una o dell’altra norma o del loro combinato disposto.
L’interprete è dunque obbligato ad adottare l’interpretazione conforme a Costituzione, vale a dire quella che impone che il giudice, prima di applicare l’art. 26 sopra ricordato, si ponga in condizione di escludere che l’infraquattordicenne possa legittimamente aspirare ad un proscioglimento nel merito.
Invero, se suprema lex, nella materia in esame, è l’interesse del minore ad una rapida fuoriuscita dal circuito processuale, nondimeno va osservato che tale percorso deve, comunque, essere effettuato con le cadenze, i tempi e, sopratttto, con le garanzie che caratterizzano il processo penale.
Diversamente opinando, oltretutto, l’art. 26 del D.P.R. citato finirebbe per entrare in contrasto, non solo con il dettato costituzionale (art. 3, art. 26 comma 2, artt. 111, 112, 76, 10, 117), ma anche con norme sovrannazionali (in particolare con l’art. 40 della convenzione di New York e con l’art. 6 CEDU).
Invero esso consentirebbe, oltretutto, l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in materia penale senza che l’indagato o l’imputato sia informato del contenuto dell’accusa.
Tale indirizzo è stato confermato da un successivo arresto della giurisprudenza di legittimità che ha ribadito che la sentenza di non luogo a procedere per non imputabilità del minore postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito; pertanto essa è illegittima qualora riguardi un reato perseguibile a querela della quale non sia previamente accertata la sussistenza, considerato che l’accertamento della procedibilità dell’azione precede anche quella relativa all’imputabilità del minore.
Corte di Cassazione Penale Sent. Num. 16769 Anno 2015