I principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege affondano la loro origine storico-culturale nei valori affermatisi all’epoca dell’illuminismo, caratterizzando la gran parte delle legislazioni successive dell’ Ottocento e del Novecento.
Invero, prima del 700 i principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege non furono del tutto ignorati dalle legislazioni più antiche, dal diritto romano in poi, facendo costante ricorso all’analogia e al diritto consuetudinario.
Solo con l’Illuminismo si arriva ad una elaborazione dei suddetti principi e difatti le prime affermazioni compaiono, nell’ultima parte del secolo diciottesimo, nelle costituzioni di alcuni degli Stati Uniti d’America e nel codice austriaco.
La prima formale affermazione è quella contenuta nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, approvata nel corso della rivoluzione francese, il cui art. 8 così dispone: “La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata”.
L’elaborazione dei principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege fu recepita dai sistemi liberali dell’Ottocento: l’art. 1 del Codice Penale Zanardelli, del 1889 stabilisce che “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da esse stabilite”.
Questa formulazione è stata ripresa dal Codice Rocco del 1930, anche se i principi si ponevano in contrasto con quelli dello stato totalitario.
I principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege sono disciplinati dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione che, in realtà disciplina espressamente solo la prima previsione (nullum crimen sine lege).
Su questo principio l’art. 25 ha introdotto una riserva assoluta di legge, mentre il secondo principio, nulla poena sine lege, costituisce una costruzione dottrinale e giurisprudenziale.
Già dai lavori preparatori della Commissione si affermò la necessità di riaffermare espressamente nel testo della Costituzione entrambi i principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege.
La Commissione, in seduta plenaria, propose una formulazione che prevedeva espressamente i due principi: “Nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale; né può essere punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista, salvo che la legge posteriore sia più favorevole al reo”.
L’Assemblea Costituente esaminò il testo proposto e, all’esito, fu approvata una formulazione che non faceva più espresso riferimento al principio nulla poena sine lege limitandosi a riaffermare il principio nullum crimen sine lege, evidenziando l’inopportunità di riaffermare il principio nella Costituzione.
Le ragioni giustificatrici di questo mutamento, rispetto alle conclusioni della Commissione, si fondarono infatti sull’asserita inutilità dell’espressa previsione (perché il principio sarebbe ricavabile da altre norme), sulla sua inopportunità (perché si sarebbe compromessa la possibilità di applicare il trattamento sopravvenuto più favorevole) sulla sua superfluità (perché la disciplina sul punto era già presente nel codice penale).
Tale lacuna fu poi colmata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In particolare, per il principio nulla poena sine lege, si è rilevato che l’uso della locuzione “nessuno può essere punito”, secondo comma dell’art. 25 Cost., ed in particolare l’uso del verbo “punire” non può riferirsi esclusivamente al reato ma debba estendersi anche alla pena.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 15 del 1962, stabilì che la copertura costituzionale dell’art. 25, secondo comma, riguardava non solo il reato ma anche la pena. Inequivocabili le parole usate dal Giudice delle leggi: “L’art. 25, secondo comma, della Costituzione affermando che nessuno può essere punito se non in forza di legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, non soltanto proclama il principio della irretroattività della norma penale, ma dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice. E poiché questa potestà si esplica mediante l’applicazione di una pena adeguata al fatto ritenuto antigiuridico, non si può contestare che pure la individualizzazione della sanzione da comminare risulta legata al comando della legge”.
E la dottrina affermò che i due principi “sono così strettamente collegati fra loro da fondersi in un principio unico, essendo la qualità e la misura della pena non già un dato esterno ma un elemento in un certo senso intrinseco alla previsione dell’illecito penale, e dal quale il fatto incriminato ripete, di fronte alla coscienza del cittadino, non soltanto la sua gravità, ma la sua stessa natura”.
Si tratta del c.d. Principio di Legalità che racchiude i principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege.
Corte di Cassazione Sez. U Num. 46653 Anno 2015
è un principio ed una conquista di civiltà enorme.
purtroppo a volte, negli stessi Paesi democratici, se ne fa un uso distorto o non se ne fa assolutamente uso.
capita infatti che, per ragioni di celerità dei processi o per oggettive difficoltà di gestione delle udienze, il principio citato, così come le altre garanzie procedurali siano interpretate in maniera eccessivamente estensiva (coincidendo con un estremo e rigido formalismo) o eccessivamente restrittiva.
complimenti per l’articolo.
Sono principi di diritto sostanziale ed essendo il reato un fatto di rilevanza penale deve essere punito solo in virtù di una legge che lo disciplina anche sotto il profilo della sanzione da irrogare. Grazie del suo intervento.