Trattamento sanzionatorio più favorevole: sostanze stupefacenti

trattamento sanzionatorioLa sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, del decreto-legge n. 272 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 49 del 2006, con la reintroduzione della distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti” prevedendo un trattamento sanzionatorio più favorevole in relazione alla droghe leggere.

Tale disciplina si applica anche alle condotte precedenti alla pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale, con riguardo al trattamento sanzionatorio.

In questo quadro normativo così delineato è possibile affermare che sia legale una pena irrogata per un reato per il quale sia mutata la cornice edittale in senso favorevole al reo purché la pena in concreto irrogata rientri nella nuova cornice edittale ?

Ci troviamo in presenza di una successione di norme che hanno modificato, in senso favorevole all’imputato, il trattamento sanzionatorio.
Lart. 2, quarto comma,C.p. afferma che “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.

Se la pena irrogata non è superiore ai nuovi massimi edittali non può considerarsi illegale.

Qualora la pena sia determinata in una misura che si discosta dai nuovi limiti minimi edittali, deve ritenersi ragionevolmente ipotizzabile l’irrogazione di una sanzione ad essa inferiore proprio sulla base di tali limiti; con la conseguenza che in presenza di un mutamento della cornice edittale, deve farsi luogo ad annullamento della sentenza in punto di determinazione della pena, qualora dalla motivazione emerga con sufficiente chiarezza che il giudice ha utilizzato i parametri edittali antecedenti a tale mutamento e la motivazione stessa non possa, dunque, essere ritenuta adeguata quanto ai nuovi parametri.

Occorre chiedersi se questo sindacato sia ancora possibile quando il ricorso è inammissibile con la conseguente formazione del giudicato a seguito dell’inammissibilità dell’impugnazione.

A parere della giurisprudenza di legittimità il principio dell’intangibilità del giudicato trova una serie di limitazioni, che impongono all’ordinamento di eliminare la violazione o di attenuarne gli effetti.
Il problema non è dunque quello della formazione del giudicato ma quello di accertare se si sia verificata una lesione di un diritto o di una garanzia fondamentale della persona che giustifichi una limitazione della sua intangibilità pur formalmente prevista.
Orbene costituisce una lesione di questi principi la circostanza che una persona sia stata giudicata con riferimento ad un quadro normativo nel frattempo modificato a seguito di una evidente variazione del giudizio di disvalore della condotta da parte del legislatore.

La pena deve adempiere a una funzione rieducativa costituzionalmente garantita ma se viene inflitta con riferimento ad un apparato sanzionatorio che lo stesso legislatore, riformandolo in senso favorevole all’imputato, ha ritenuto non più adeguato per una condotta è evidente che questa funzione non può essere, in astratto, correttamente svolta.

Inoltre, l’art. 609 C.p.P. al secondo comma prevede espressamente che la Corte di Cassazione decida anche le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

La violazione della disciplina sostanziale applicabile può essere rilevata d’ufficio dal giudice di legittimità anche se l’imputato con il ricorso originario non abbia proposto alcun motivo riguardante la pena né alcuna ragione di critica alla sua determinazione da parte del giudice del rinvio pur dopo le rilevanti modifiche normative intervenute successivamente alla sentenza di conferma della condanna.

Invero lo stesso art. 2 C.p. richiede esclusivamente che la sentenza impugnata non sia divenuta irrevocabile e dunque (salvo il caso di omessa impugnazione) che non sia stata pronunziata la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso.

Solo con questa decisione la sentenza impugnata diviene irrevocabile per l’inequivoco disposto contenuto nel secondo periodo del comma 2 dell’art. 648 C.p.P.

Deve, pertanto, richiamarsi il principio secondo cui la Corte di Cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609 C.p.P., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata.

Corte di Cassazione S.U. n. 46653/2015.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *