Odio etnico, razziale o religioso – Hate Speech

Odio etnico Rosina Penco Rosmunda Pisaroni Fanny Kemble Bessie ColemanLa manifestazione verbale diretta all’istigazione all’odio etnico, razziale o religioso costituisce una vera e propria circostanza aggravante, (ex art. 604 ter C.p.) applicabile a tutti reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, di cui alla Legge n. 205/93 (Legge Mancino).

In tal senso, nell’ipotesi di espressioni ingiuriose che rivelino l’inequivoca volontà di discriminare la vittima del reato, in ragione della sua appartenenza etnica o religiosa, è configurabile la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso. La stessa sussiste non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una razza (Corte di Cassazione Sez. 5, n.7859 del 02/11/2017).

In altri termini, il fine specifico di un incitamento all’odio razziale non è condizione essenziale dell’aggravante in disamina, per la cui integrazione è sufficiente la esternazione di una condizione di inferiorità o di indegnità, attribuita a soggetti determinati e fatta derivare all’appartenenza ad una determinata razza, con conseguente natura di pericolo dell’elemento circostanziale di cui all’art. 3, comma primo, Legge 205/1993 (Corte di Cassazione Sez. 5 Num. 32862/2019).

Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di hate speech si esprime, innanzitutto, nel senso che l’istigazione all’odio non richiede necessariamente il riferimento ad atti di violenza o delitti già consumati in danno del ricorrente, in quanto i pregiudizi rivolti alle persone ingiuriando, ridicolizzando o diffamando talune frange della popolazione e isolandone gruppi specifici, soprattutto se deboli, o incitando alla discriminazione, sono sufficienti perché le autorità interne privilegino la lotta contro il discorso razzista, a fronte di una libertà di espressione irresponsabilmente esercitata e che provoca offesa alla dignità e alla sicurezza di queste parti o gruppi della popolazione (Corte Edu, Féret c. Belgio, ric. n. 15615/07, 16 luglio 2009, § 73). In secondo luogo, l’identificazione in concreto dell’incitamento alla violenza, secondo la giurisprudenza della Corte Edu, passa attraverso il riscontro di diversi indicatori, tra i quali assume particolare rilevanza il modo in cui la comunicazione è effettuata, il linguaggio usato nell’espressione aggressiva, il contesto in cui è inserita, il numero delle persone cui è rivolta l’informazione, la posizione e la qualità ricoperta dall’autore della dichiarazione e la posizione di debolezza o meno del destinatario della stessa (Corte di Cassazione Sez. 5 Num. 32862/2019).

In sintesi, può affermarsi che la Corte EDU esclude il bisogno di restringere la libertà di espressione in una società democratica quando si tratti della promozione di valori coessenziali alla tutela dei diritti dell’uomo, soprattutto in presenza della loro minaccia o restrizione, ritenendo, invece, legittima e necessaria l’ingerenza statuale punitiva in presenza di manifestazioni d’odio funzionali proprio alla compressione dei principi di uguaglianza e di libertà (Corte di Cassazione Sez. 5 Num. 32862/2019).

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