Omicidio tentato
Dispositivo dell’art. 56 Codice Penale
Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.
Con riguardo ai presupposti del delitto di omicidio tentato si rileva che, come dalla Corte di legittimità ripetutamente affermato (Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008), la prova dell’ animus necandi, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito dall’agente; in quest’ottica assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi postuma riferita alla situazione che si presentava all’imputato sul momento, in base alle condizioni umanamente prevedibili.
Nel caso di specie, da tale corretto approccio ermeneutico i giudici di merito — le cui decisioni ben possono essere lette in sinossi tra loro, stante la concorde analisi e valutazione degli elementi di prova in esse contenute (Cass. Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013; Cass. Sez. 3, n. 13926 dell’ 1/12/2011, dep. 2012; Cass. Sez. 2, n. 5606 del 10/1/2007) – non si sono discostati, avendo essi ritenuto raggiunta la prova dell’elemento psicologico contestato sulla base di elementi, quali la potenzialità offensiva dell’arma utilizzata, il numero e la distanza ravvicinata dei colpi, la loro direzione verso la vittima, elementi tutti ineccepibilmente apprezzati nel ravvisato contesto di dolo omicidiario.
A ragione, infine, si è escluso che l’entità delle lesioni subite dalla persona — così come il fatto che questa non si sia trovata, in concreto, in pericolo di vita — fossero circostanze idonee ad influire sulla valutazione della volontà omicida (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, n. 52043 del 10/6/2014). Con riferimento, poi, al profilo della idoneità degli atti a porre potenzialmente in pericolo la vita della persona offesa, la Corte di appello ha spiegato, in modo esaustivo e non contraddittorio, che questa si desumeva dalla certificazione del pronto soccorso, nonché da quanto riferito dal medico che aveva visitato la vittima nell’immediatezza dei fatti.
Con riguardo l’elemento psicologico del reato considerato che nel delitto di omicidio tentato, ai fini della sussistenza del reato è sufficiente il dolo diretto rappresentato dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23618 dell’ 11/4/2016).
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 1 n. 43647 del 2023