L’atto di “opposizione” alla donazione, ex art. 563, comma 4, C.c., come novellato per effetto dell’entrata in vigore della Legge n. 80 del 2005, è un atto stragiudiziale che secondo la lettera della norma citata ha effetto solo nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione.
L’atto di “opposizione” alla donazione sospende nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante il decorso del termine di cui al primo comma dell’articolo 563 ovvero il termine di vent’anni dalla data della donazione e il termine di cui al comma 1 dell’articolo 561 del codice civile ovvero il termine di vent’anni dalla data della trascrizione della donazione.
Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile. L’opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione.
Tale disposizione, in particolare, autorizza il coniuge ed i parenti in linea retta del disponente alla notificazione ed alla trascrizione di un atto di opposizione alla donazione, opponibile sia al donatario che ai suoi aventi causa, allo scopo di impedire il decorso del termine di vent’anni dalla trascrizione della donazione, entro il quale, a norma dell’art. 563 C.c., comma 1, il legittimario, salva la preventiva escussione dei beni del donante, può chiedere la restituzione dell’immobile anche agli aventi causa del donatario.
Per inquadrare correttamente la questione occorre considerare innanzitutto la natura dell’opposizione di cui all’art. 563 C.c., comma 4. Essa non assicura alcuna tutela attuale al legittimario, ma gli consegna soltanto un risultato ipotetico e futuro: per effetto dell’opposizione, infatti, il legittimario potrà esercitare, anche in relazione alle donazioni eseguite del suo dante causa e trascritte da oltre vent’anni, l’azione di riduzione della liberalità e, in caso di buon esito di quest’ultima, potrà esigere la restituzione del bene donato anche nei confronti del donatario o, nell’incapienza di questi, dei suoi aventi causa, giusta la disposizione di cui art. 563 C.c., comma 1. In altri termini, con l’opposizione di cui all’art. 563 C.c., comma 4, il legittimario si pone nella condizione per cui, se al momento di apertura della successione del suo dante causa la donazione risulterà effettivamente lesiva della quota di legittima, se verrà pertanto esperita fruttuosamente l’azione di riduzione di detto atto liberale, e se il donatario risulterà incapiente, allora egli legittimario potrà agire nei confronti degli aventi causa del donatario per pretendere, ai sensi dell’art. 563 C.c., comma 1, la restituzione del cespite oggetto della liberalità. Perché il legittimario possa esercitare la domanda di cui dell’art. 563, ridetto comma 1, dunque, devono concorrere tutte le suindicate condizioni, e deve esser stata eseguita e trascritta l’opposizione di cui al comma 4 della citata disposizione.
Quest’ultima, dunque, rappresenta un rimedio a contenuto essenzialmente cautelare, finalizzato ad assicurare, in favore del legittimario pretermesso, o leso nelle sue aspettative ereditarie, la possibilità di esercitare, nella ricorrenza di una serie di condizioni previste dalla norma, il diritto di seguito sul cespite donato dal proprio dante causa. Con l’opposizione di cui all’art. 563 C.c., comma 4, in definitiva, il coniuge o parente in linea retta del disponente evita che sul bene conteso si possano, per effetto degli atti di disposizione compiuti dal donatario, consolidare diritti di terzi, acquirenti di buona fede.
Resta tuttavia fermo che sia l’azione di riduzione della donazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4021 del 21/02/2007) che quella di restituzione di cui all’art. 563 C.c., comma 1, sono esperibili dal legittimario soltanto dopo l’apertura della successione del suo dante causa, poiché solo in quel momento sarà, in concreto, possibile verificare se l’atto di liberalità oggetto dell’opposizione possa, o meno, rivelarsi lesivo delle aspettative ereditarie del legittimario stesso.
Ciò posto, occorre verificare se questo schema sia applicabile, ed in quali limiti, agli atti di liberalità che siano realizzati dal disponente, in vita, con ricorso a strumenti diversi dalla donazione. Va infatti considerato che lo scopo donativo può essere realizzato anche attraverso la conclusione di negozi giuridici aventi caratteristiche formali non corrispondenti al tipo legale della donazione.
Sul punto, la Corte di legittimità ha ammesso l’esperibilità dell’azione finalizzata all’accertamento della natura simulata di un negozio giuridico dissimulante una donazione, anche prima dell’apertura della successione del donante, allo scopo di poter esercitare utilmente il rimedio di cui all’art. 563 C.c. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11012 del 09/05/2013). Per poter utilmente trascrivere un atto di opposizione alla donazione asseritamente lesiva delle sue aspettative, infatti, il coniuge o parente in linea retta del disponente, le cui aspettative successorie siano poste a rischio da un atto di liberalità realizzato attraverso uno strumento negoziale diverso dal tipo legale della donazione, deve previamente ottenere un accertamento giudiziale della natura sostanzialmente donativa del predetto negozio. In tale evenienza, l’azione di simulazione non è finalizzata all’esercizio dell’azione di riduzione – insieme alla quale essa rimane pacificamente esperibile dopo l’apertura della successione del disponente, senza le limitazioni probatorie previste per le parti dall’art. 1417 C.c., in ragione della qualità di terzo del legittimario, rispetto al contratto simulato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14562 del 30/07/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24134 del 13/11/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15510 del 13/06/2018) – nè a quella di restituzione di cui all’art. 563 C.c., comma 1, ma è diretta al più circoscritto scopo di conseguire una pronuncia di accertamento che costituisca, a sua volta, il presupposto necessario affinché il coniuge, o parente in linea retta, del disponente possa notificare, e soprattutto trascrivere, sul bene immobile oggetto del negozio dissimulato di donazione, l’atto di opposizione di cui all’art. 563 C.c., comma 4. Rimedio, quest’ultimo, a contenuto cautelare e preordinato ad assicurare al legittimario la sospensione del termine per la proposizione della domanda di restituzione di cui al già richiamato art. 563 C.c., comma 1.
Dalle esposte considerazioni discende che l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio giuridico dissimulante una donazione si atteggia diversamente, a seconda che essa sia proposta in relazione ad una domanda di riduzione della liberalità, ovvero all’esercizio del rimedio di cui al richiamato art. 563 C.c., comma 4. Nel primo caso, l’azione è esperibile solo dopo la morte del donante, e l’erede è tenuto a fornire la prova dell’effettiva lesione del suo diritto di legittima; nel secondo caso, invece, il coniuge o il parente in linea retta del disponente non deve dimostrare l’esistenza della lesione delle sue aspettative successorie, essendo sufficiente l’idoneità, in astratto, dell’atto ad incidere sulle predette aspettative.
Il differente regime della prova nelle due ipotesi si giustifica in considerazione della diversità degli effetti che si producono a carico del donatario, o dei suoi aventi causa. L’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione implica infatti l’inefficacia dell’atto di liberalità nei confronti dell’erede che agisce in riduzione, e dunque comporta un diretto pregiudizio, sia per il donatario, che, nell’incapienza di quest’ultimo, per i suoi aventi causa, nei confronti dei quali il legittimario pretermesso o leso nella sua quota riservata può esercitare l’azione di cui all’art. 563 C.c., comma 1. Al contrario, l’opposizione di cui all’art. 563 C.c., comma 4, ha il solo scopo di sospendere il decorso del termine ventennale per l’esercizio dell’azione di restituzione prevista dal comma 1 della disposizione da ultimo richiamata.
Per completezza, occorre anche considerare che l’intento liberale può, in concreto, essere realizzato mediante la messa a disposizione, da parte del disponente, di una somma di denaro necessaria a consentire, da parte del ricevente, l’acquisto di un bene immobile. In tali ipotesi, secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, occorre distinguere il caso in cui la liberalità abbia ad oggetto il denaro, poi eventualmente utilizzato dal donatario per l’acquisto di un immobile, da quello – diverso – il cui il donante fornisca il denaro, quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che – in tale evenienza – costituisce esso stesso l’oggetto della donazione, in funzione dello stretto collegamento esistente tra elargizione del denaro ed acquisto del cespite (Cass. Sez. U., Sentenza n. 9282 del 05/08/1992; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5310 del 29/05/1998; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12563 del 22/09/2000; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13619 del 30/05/2017). Solo nella ricorrenza della seconda ipotesi, evidentemente, si potrebbe ipotizzare un margine di esperibilità del rimedio di cui all’art. 563 C.c., comma 1, poiché esso – nell’assicurare la restituzione del bene – presuppone logicamente che la liberalità abbia ad oggetto quest’ultimo, e non il denaro utilizzato per il suo acquisto. Dal che consegue che, per poter esercitare l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell’esperimento del rimedio di cui all’art. 563 C.c., comma 4, a sua volta finalizzato al successivo avvio della domanda di restituzione ex art. 563 C.c., comma 1, l’attore è tenuto a dimostrare che la liberalità indiretta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene, e non invece il denaro, o altro valore, utilizzato per realizzare il successivo acquisto di un immobile.
In linea teorica, quindi, l’azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile può essere esperita, dal coniuge o dal parente in linea retta del disponente, anche prima dell’apertura della successione di quest’ultimo, allo specifico scopo di consentire l’opposizione di cui all’art. 563 C.c., comma 4, e di rendere, in futuro, possibile l’esperimento della domanda di restituzione del bene donato di cui all’art. 563 C.c., comma 1, (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22457 del 09/09/2019).
Cass. civ., sez. II, sen., 11 febbraio 2022, n. 4523