Palpeggiamento con induzione in errore della persona offesa
Il palpeggiamento delle parti intimi con induzione in errore della persona offesa integra il reato di violenza sessuale?
Nel caso di specie l’imputato sostituendosi con l’inganno al personale medico abilitato ed usurpando la relativa funzione e profittando delle condizioni psichiche della persona offesa costringeva la stessa a subire atti sessuali, con manovre di palpazione del seno e compressione delle mammelle e toccamento dei capezzoli.
Tuttavia deve rilevarsi che per il delitto di cui all’art. 479, cod. pen. la norma richiede espressamente l’induzione in errore della parte offesa; quindi è necessario un comportamento commissivo (“induce taluno in errore“), e non rileva un atteggiamento solo passivo, il silenzio, o l’aver profittato dell’errore altrui, come ritenuto dalla Corte di Cassazione: “Non commette il delitto previsto dall’art. 494 cod. pen. colui che, non avendo concorso ad originare l’errore altrui, sorto spontaneamente oppure per il fatto di un terzo, profitta dell’errore, sia pure per un proprio interesse. Il delitto in questione e costituito dal fatto di indurre taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a se o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici. Esso richiede dunque che l’agente debba avere indotto in errore un altro soggetto, onde soltanto un comportamento positivo dell’agente stesso, suscettivo di trarre altrui in inganno, può dare luogo all’imputabilità per il titolo di sostituzione di persona” (Cass., Sez. 5, n. 1111 del 07/07/1967).
Viceversa per la fattispecie dell’art. 609 bis, comma 2, n. 2, cod. pen. la norma prevede solo che l’agente abbia tratto in inganno la persona offesa per essersi sostituito ad altra persona. L’approfittare dell’errore altrui mentre non rileva nell’ipotesi del delitto di cui all’art. 494, cod. pen. assume giuridica rilevanza nel delitto dell’art. 609 bis, cod. pen., sia per la diversa letterale previsione normativa, e sia per la particolare delicatezza del bene giuridico tutelato nei delitti contro la libertà personale (sessuale). Infatti l’errore sul consenso della persona offesa non scrimina nei delitti di violenza sessuale, a meno che non sia relativo ad un contenuto espressivo, della vittima, equivoco: “Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa” (Cass., Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016).
Né può ritenersi valido un consenso putativo, come pure richiede il ricorrente nel ricorso per cassazione (art. 59, comma 4 cod. pen.): “L’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale. (Fattispecie in cui l’imputato aveva desunto dal ritorno del coniuge nella casa familiare anche la sua volontà di riprendere le loro relazioni intime)” (Cass., Sez. 3, n. 2400 del 05/10/2017 – dep. 22/01/2018; vedi anche Cass., Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016 – dep. 07/09/2016).
Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto:
“Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso, anche ove questo non sia stato esplicitato, in considerazione dell’errore della vittima sulla posizione personale dell’imputato che era stato scambiato per un infermiere mentre era un operatore socio sanitario, non autorizzato ad effettuare la pratica medica di palpeggiamento del seno della paziente. Per la configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 2, cod. pen. non è inoltre necessaria una condotta attiva, che concorra ad originare l’errore altrui, ma è sufficiente profittare dell’errore altrui (anche se non direttamente cagionato) in quanto il soggetto è conscio dell’assenza del consenso della vittima, o del consenso viziato, dalla falsa rappresentazione della persona offesa sulle qualità professionali dell’agente“.
Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 21 novembre 2018, n. 52399