Secondo gli indici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità la previsione normativa del patto commissorio concerne la corretta applicazione degli articoli 1963 e 2744 del codice civile, i quali sanciscono il divieto del patto commissorio.
A tal fine vanno richiamati gli elementi costitutivi del patto commissorio ed il fondamento del suo divieto.
Secondo l’orientamento tradizionale, la nullità del patto commissorio deriva dall’esigenza di tutelare il debitore, quale contraente economicamente più debole, per impedire che possa subire pressioni dal creditore che lo inducano a garantire il proprio adempimento mediante la cessione di un bene di valore superiore al debito contratto.
Un altro indirizzo dottrinale ravvisa lo scopo del divieto nella salvaguardia della par condicio creditorum: gli altri creditori, infatti, dalla cessione di un dato bene che il debitore facesse a un solo dei suoi creditori, vedrebbero sottratto quel bene alla comune garanzia della generalità dei creditori.
Altro orientamento fonda invece il divieto sulla necessità di tutelare l’interesse sociale di impedire che il patto commissorio dilaghi nella pratica negoziale e divenga una garanzia sostitutiva dei modelli legali, pegno ed ipoteca, priva della necessaria corrispondenza tra la soggezione del patrimonio del debitore e l’ammontare del debito, determinando inconvenienti socialmente dannosi, quali, ad esempio, il diffondersi dell’usura.
La giurisprudenza di legittimità, a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite n. 1611 del 1989 e n. 1907 del 1989, ha fondato il divieto di patto commissorio sulla duplice esigenza di protezione del debitore e di tutela dell’interesse dei creditori estranei al patto. E’ stato quindi abbandonato il criterio formalistico precedentemente seguito, fondato sull’interpretazione letterale dell’articolo 2744 c.c., preferendo ad esso il criterio basato invece sull’indagine funzionale dell’impianto negoziale posto in essere, in concreto, dalle parti, e finalizzato ad una più efficace tutela, tanto del debitore coinvolto in operazioni poste in essere in violazione del divieto del patto commissorio, che del principio generale della par condicio creditorum, in funzione di contrasto della creazione di strumenti di garanzia diversi da quelli previsti dalla legge. In tal modo, il divieto del patto commissorio è stato esteso a qualsiasi negozio, tipico o atipico, che sia in concreto impiegato per conseguire il fine dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; esso può pertanto configurarsi anche ogni qual volta il debitore sia comunque costretto al trasferimento di un suo bene al creditore a tacitazione dell’obbligazione (Cass. Civ. Sez. III, sentenza n. 8411 del 27.5.2003; Cass. Civ. Sez. II n. 18655 del 16.9.2004; Cass. Civ. Sez. II, 12.1.2009, n. 437).
Non è quindi possibile in astratto identificare una categoria di negozi soggetti a tale nullità, occorrendo invece riconoscere che qualsiasi negozio può integrare tale violazione nell’ipotesi in cui venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, di far ottenere al creditore la proprietà del bene dell’altra parte nel caso in cui questa non adempia la propria obbligazione (Cass. Civ., Sez.II, 20.2.2013 n. 4262.).
Nello svolgimento di detto accertamento, evidentemente affidato al giudice di merito, quest’ultimo “… non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto, e, in caso di operazione complessa, valutare gli atti medesimi alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante ed il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto” (Cass. Civ., Sez. II, 10.3.2011, n. 5740).
Deve essere pertanto esaminato l’assetto complessivo degli interessi delle parti, al fine di stabilire se il procedimento negoziale attraverso il quale venga compiuto il trasferimento di un bene dal debitore al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia (Cass. Civ., Sez. II, 20.7.1999, n. 7740, Cass. Civ., Sez. III, 21.7.2004, n. 13580; Cass. Civ., Sez. II, 16.9.2004, n. 18655; Cass. Civ., Sez. II 8.2.2007 n. 2725, e Cass. Civ. Sez. II, 20.6.2008, n. 16953). In definitiva, a prescindere dalla natura obbligatoria, o reale, del contratto, o dei contratti, che le parti pongono in essere, ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi (cfr. ad es. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11924 del 23/10/1999, relativa ad una ipotesi in cui le parti avevano concluso un preliminare di compravendita non prevedente il passaggio immediato del possesso del bene promesso in vendita, proprio alla luce della funzione di garanzia, che la promessa di vendita assicurava, della restituzione, entro un certo termine, di una somma in precedenza o coevamente mutuata dal promissario acquirente; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13598 del 12/10/2000; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4618 del 29/03/2001).
Nel tempo quindi è stata ampliata la portata dell’articolo 2744 c.c., sanzionando con la nullità qualsiasi strumento pattizio in grado di raggiungere il risultato vietato dall’ordinamento, sia in modo diretto che in forme elusive.
L’ampliamento della latitudine del divieto non è stata esente da critiche da una parte della dottrina per l’intrinseca difficoltà di tratteggiarne i confini, unita alla constatazione del diffondersi di contratti, anche di derivazione comunitaria che prevedono, accanto alla causa di scambio, anche la causa di garanzia.
Si pensi, a titolo esemplificativo, al capo 1 bis del D. Lgs 385/93, recante attuazione della Direttiva n. 17/2014, che introduce il credito immobiliare ai consumatori, prevedendo che le parti possano convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto che, in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene immobile soggetto a garanzia reale, o dei proventi della vendita del bene, comporti l’estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all’eccedenza.
Di derivazione comunitaria sono anche i Financial Collateral Arrangements, di cui al D. Lgs 170/2004 modificato dal D. Lgs 48/2011, costituente attuazione della direttiva 44/2009 CE, che all’articolo 6 comma 2 riconosce validità ed efficacia ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà a scopo di garanzia “indipendentemente dalla loro qualificazione escludendo per essi il divieto di patto commissorio“.
In tale ipotesi, si esclude la nullità dovuta all’aggiramento del divieto del patto commissorio in quanto si ritiene sussistente un patto marciano – in forza del quale, nell’eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo ritto al credito – ritenendo che si tratti di clausola idonea a garantire il riequilibrio dell’assetto contrattuale. In tal modo, si evitano approfittamenti del creditore in danno del debitore, purchè le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all’epoca dell’inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento (Cassazione civile sez. III, 17/01/2020, n. 844).
E’ stato osservato, anche in chiave comparativista, che a livello Europeo si assiste ad un ampliamento del patto marciano (tra tutte la Francia, che ha modificato nel 2006 il sistema della garanzie reali, con l’Ordonnance n. 2006-346 in relazione a varie ipotesi tra cui il credito al consumo).
Del resto, le Sezioni Unite, con sentenza n. 14650 del 5.7.2011 n. 14650, chiamate a pronunciarsi sull’applicabilità in Italia della normativa inglese che ammette il trasferimento della proprietà di un bene in conseguenza di un patto commissorio, hanno escluso che la disposizione possa rientrare tra i principi fondanti l’ordine pubblico internazionale, che si “sostanzia nei principi fondamentali delle nazioni civili, tra cui il divieto di patto commissorio non rientra”, come dimostra che “esso non è conosciuto nè vietato in una sicuramente parte rilevante dell’Unione Europea”.
La giurisprudenza ha enucleato, ai fini dell’esclusione del patto commissorio la preesistenza o la contestualità del debito, l’assenza dell’illecita coercizione del debitore al trasferimento del bene, la proporzione tra il valore del bene ed il prezzo, la circostanza che il venditore non rimanga nel godimento dell’immobile e l’obbligo di ritrasferimento al medesimo prezzo originariamente pagato.
Tali elementi non devono necessariamente essere compresenti nell’ambito dell’operazione contrattuale ma devono essere esaminati dal giudice di merito al fine di valutare se la causa concreta del contratto – che può essere di scambio con profili di garanzia- sia meritevole di tutela.
Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza n. 19694 del 17 giugno 2022.