La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento risolve il quesito di diritto se “la riproduzione di un celebre, originale e compiuto frammento del testo letterario di un’opera musicale in altra opera musicale, debba essere considerata plagio, sia pur soltanto parziale, anche in considerazione del particolare risalto che tale riproduzione ha avuto nell’opera musicale plagiaria“.
Il caso prende le mosse da due versi della popolare canzone “Zingara” che erano stati utilizzati nel titolo e all’ interno di una altra opera musicale.
In particolare il frammento di testo oggetto di discussione è “prendi questa mano zingara, dimmi pure che destino avrò”, divenuto nella nuova canzone il titolo “prendi questa mano zingara” e poi anche, nel testo, “prendi questa mano zingara, dimmi pure che futuro avrò”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità il frammento “prendi questa mano zingara, dimmi pure che destino avrò” esprimerebbe in una maniera del tutto originale, un concetto (la richiesta di predizione del destino di una relazione amorosa fra due persone, fatta da una delle due alla veggente-zingara) esprimibile in altri numerosi modi diversi.
Di qui l’affermazione della piena compiutezza e tutelabilità di quel frammento linguistico (e poetico) atto ad esprimere quel concetto, indipendentemente dalla restante parte del testo letterario e, a maggior ragione, del tema musicale sottostante a quella enunciazione.
Ma occorre escludere il plagio sulla base di quattro parametri: a) la (modesta) variazione data ad una parte del testo riprodotto; b) la completa diversità del testo letterario nella sua parte restante, dedotta la parte riprodotta; c) la trattazione di tematiche completamente diverse da parte della nuova opera; d) la totale diversità della parte musicale.
Occorre affermare il principio di diritto secondo cui,
in tema di plagio di un’opera musicale, un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in un’altra non costituisce di per sé plagio, dovendosi accertare, da parte del giudice di merito, se il frammento innestato nel nuovo testo poetico-letterario abbia o meno conservato una identità di significato poetico-letterario ovvero abbia evidenziato, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto a quello che ha avuto nell’opera anteriore.
In linea generale, secondo le teorie estetiche, il discorso poetico, partendo dal materiale linguistico del discorso comune, compie già rispetto a questo uno scarto semantico e, agli elementi denotativi di quella base di partenza, conferisce connotazioni aggiuntive polisense via via nuove, diverse da testo a testo, sempre riferite a una contestualità determinata.
In tal modo la realtà e la società entrano nell’opera d’arte non perché procedano con meccanica immediatezza dai contenuti denotativi di base, bensì in quanto sono mediati dalla struttura polisensa delle trasformazioni (connotative) formali, che variano di “arte” in “arte”, a seconda del peculiare sistema segnico di ognuna.
Anche i discorsi artistici, percorrendo la strada della cd. “verità estetica” e, dunque, “non scientifica”, forniscono, una conoscenza del mondo nient’ affatto “inferiore” a quella “scientifica”.
Qualora, come nel caso di specie, la nuova opera contiene una “trattazione di tematiche completamente diverse” rispetto all’opera artistica anteriore, anche l’innesto del frammento poetico letterario nella seconda opera ha ricevuto un significato artistico del tutto diverso.
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 1 Num. 3340 Anno 2015