La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente i presupposti per l’ammissione all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464 bis C.p.P.
Nel caso di specie entrambi i giudici di primo e secondo grado hanno rigettato dell’istanza di sospensione del procedimento per messa alla prova ex art. 464 bis C.p.P., ritenendo insussistenti i presupposti applicativi dell’istituto, da un lato, per il mancato assolvimento da parte dell’imputato dell’obbligo risarcitorio nei confronti della persona offesa e dall’altro, sulla base della prognosi negativa sul futuro comportamento dell’imputato.
Occorre innanzitutto, ricordare che la formulazione dell’istanza di messa alla prova deve, ai sensi dell’art. 464-bis, comma 3 C.p.P. essere accompagnata, alternativamente, da un programma di trattamento redatto d’intesa con l’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna, o, allorquando ciò non sia stato possibile, dalla richiesta di elaborazione del medesimo programma, il quale dovrà contenere: a) vle modalità di coinvolgimento dell’imputato nel processo di reinserimento sociale; b) le prescrizioni comportamentali al fine di elidere le conseguenze del reato, a questo fine rilevando il risarcimento del danno, le restituzioni e le condotte riparatorie, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità; c) le condotte rivolte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.
Ai fini della decisione sull’ammissibilità, secondo il successivo quarto comma, il giudice può richiedere ai servizi sociali o ad altri enti pubblici le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare ed economica dell’imputato. Solo successivamente, una volta verificata la volontarietà della richiesta, eventualmente tramite la comparizione dell’imputato, il giudice, in assenza di ragioni di proscioglimento ex art. 129 C.p.P., se ritiene idoneo il programma di trattamento, ammette l’imputato alla messa alla prova, disponendo la sospensione del procedimento per il termine previsto dall’art. 464-quater C.p.P.
Ora, dalla lettura della disposizione di cui all’art. 464-bis, comma 3, lett. c) C.p.P., si ricava, da un lato, che il risarcimento del danno non è preliminare alla valutazione di ammissibilità della messa alla prova, costituendo eventualmente l’assolvimento degli obblighi imposti dal programma al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato, una modalità di adempimento delle prescrizioni previste. Dall’altro, che, proprio per la medesima ragione, il risarcimento può essere dilazionato nel tempo, dovendo il giudice, ai sensi dell’art. 464 quinquies, comma 1 C.p.P., solo con l’ordinanza di sospensione stabilire il termine -prorogabile su istanza dell’imputato, per gravi motivi, ancorché per una sola volta- entro il quale le prescrizioni e gli obblighi riparatori debbono essere adempiuti, anche con modalità rateale ove si acquisisca il consenso della persona offesa. E ciò perché, nel verificare la sussistenza dei requisiti di ammissione, il giudice deve tenere conto delle informazioni acquisite, ai sensi dell’art. 464-bis, comma 5 C.p.P., sulle condizioni anche economiche del richiedente, in modo da modulare proprio su quelle il termine dell’adempimento.
D’altro canto, che la condizione economica dell’interessato rilevi al fine della previsione delle modalità stesse di redazione del programma si trae dal testo dell’art. 168 bis C.p., che laddove stabilisce quale presupposto applicativo la previsione di condotte rivolte all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato ed al risarcimento del danno, con l’inciso “ove è possibile“, subordina quest’ultimo alla possibilità di adempiervi integralmente.
La giurisprudenza di legittimità, affrontando l’argomento ha, infatti, chiarito che “In tema di sospensione del processo con messa alla prova, il giudizio in merito all’adeguatezza del programma presentato dall’imputato va operato sulla base degli elementi evocati dall’art. 133 C.p., in relazione non soltanto all’idoneità a favorirne il reinserimento sociale, ma anche all’effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione dello sforzo massimo sostenibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art. 464-bis, comma 5, C.p.P.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 34878 del 13/06/2019).
E’ proprio, dunque, la congruità dello sforzo economico che segna il parametro valutativo cui il giudice deve fare riferimento, e non quello dell’integralità e dell’immediatezza del risarcimento. Ed è a questo scopo che il legislatore, con l’art. 464-bis comma 5 C.p.P., ha conferito al giudice i poteri di acquisire informazioni per stabilire le modalità ed i termini delle obbligazioni risarcitorie, sì da commisurare il massimo sforzo sostenibile alla condizione economica dell’imputato.
Da ciò, consegue, nondimeno, che a fronte della manifestazione di disponibilità all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, non è consentito negare l’accesso alla messa alla prova perché l’interessato non ha previamente risarcito il danno, né perché al momento della richiesta egli si trovi in una condizione economica sfavorevole, tanto più allorquando egli assuma l’impegno di procurarsi i mezzi necessari per soddisfare la prestazione imposta dal programma, entro il termine da stabilirsi.
Risulta, nel caso di specie, l’erroneità del ragionamento della giudice di primo e secondo grado che elude il dovere di individuare quale impegno economico ed in quali termini temporali può essere richiesto all’imputato di adempiere all’obbligo risarcitorio, nonostante la manifestata volontà di provvedervi.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 37612 Anno 2021