La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento si pronuncia sulla questione attinente ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, tenuto conto delle circostanze dell’azione, ai fini della ricorrenza delle condizioni previste per l’accesso all’istituto della sospensione del procedimento e la messa alla prova dell’imputato.
Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, il reato per cui si procede è punito con pena detentiva superiore al limite indicato nel predetto art. 168-bis C.p.
In via preliminare, occorre ribadire che la giurisprudenza di legittimità ritiene autonomamente impugnabile con ricorso per cassazione l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.
Ciò in forza del tenore letterale dell’art. 464quater, comma 7 C.p.P., che include nella disciplina dell’autonoma ricorribilità qualsiasi provvedimento decisorio, sia esso ammissivo o reiettivo della richiesta in questione, sottraendo questo alla previsione generale di cui all’art. 586 C.p.P.
Quanto alla questione occorre stabilire se il Giudice al quale sia richiesta la sospensione del processo con messa alla prova (che, giova rammentarlo, ai sensi dell’art. 464bis C.p.P., può essere proposta fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio ovvero, se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, entro il termine di cui all’articolo 458, comma 1) possa operare una derubricazione del fatto in via preliminare per la verifica della ricorrenza delle condizioni previste per l’accesso all’istituto.
Orbene, il Giudice può procedere ad una valutazione del fatto ai fini di una sua più corretta qualificazione giuridica anche in funzione della verifica della ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 168bis C.p. per la sospensione del procedimento e la messa alla prova dell’imputato.
Ovviamente ciò potrà fare mediante una delibazione che si nutre dei materiali disponibili, i quali a seconda del momento in cui viene avanzata la richiesta saranno più o meno ampi e verificati attraverso l’istruttoria dibattimentale.
Come ricorda la Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 20143007, con sentenza n. 125 del 5 aprile 1995 la Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, quarto comma D.P.R. n. 448 del 1988 (che prevede la sospensione del processo e la messa alla prova del minorenne), spiegò che il ricorso per cassazione poteva investire tutti i possibili vizi di legittimità o di motivazione dell’ordinanza che decideva sull’istanza, il più significativo dei quali doveva essere individuato nel difetto di “un giudizio di responsabilità penale che si sia formato nel Giudice”, giudizio che veniva qualificato come “presupposto concettuale essenziale” del provvedimento, la cui carenza imporrebbe il proscioglimento.
Ne é derivato l’accostamento del provvedimento che decide sulla sospensione per messa alla prova, anche di quello introdotto con l’art. 168bis C.p., alla sentenza di patteggiamento, quindi ad una decisione allo stato degli atti che reca l’accertamento dell’assenza di taluna delle cause di non punibilità menzionate dall’art. 129 C.p.P.
In tale orizzonte si pone anche l’eventuale derubricazione del reato, incontestabilmente nei poteri-doveri del Giudice, al quale incombe l’obbligo di verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto.
Se ne può quindi ricavare il seguente principio di diritto:
“il Giudice al quale sia richiesta la sospensione del procedimento e la messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 168-bis C.p.. é tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa e può, ove la ritenga non corretta, modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell’istituto in questione”.
Corte di Cassazione Sent. Sez. 4 Num. 4527 Anno 2016