Gli elementi costitutivi del reato di atti persecutori esigono una reiterazione dei comportamenti minacciosi nei riguardi di un soggetto che si opponga in modo reciso ad essi.
L’art. 612 bis cod. pen. intitolato “Atti persecutori’ recita testualmente: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita“.
In relazione al testo normativo, se può dirsi presente il requisito della reiterazione della condotta richiesto dalla norma incriminatrice, sicché anche due sole condotte in successione tra loro, anche se intervallate nel tempo, bastano ad integrare sotto il profilo temporale la fattispecie, per quanto riguarda l’aspetto materiale (in termini Cass. Sez. 5^ 21.1.2010, n. 6417; Sez. 3^ 23.5.2013 n. 45648), non va tralasciato il fatto che le condotte molestatrici debbono risultare assillanti: espressione, quest’ultima, che, al di là del mero riferimento temporale, attiene soprattutto alle conseguenze cagionate alla vittima. La configurabilità del reato di atti persecutori è caratterizzata sotto l’aspetto materiale non solo dall’elemento tempo, ma dall’evento in termini di pregiudizio alla persona da porre in stretta correlazione con il dato della ripetitività: in altri termini, una condotta che fosse circoscritta ad una serie di atti di disturbo, non seguita dall’evento-danno sulla persona, non integrerebbe la fattispecie, così come non la integrerebbe una condotta tale da provocare un senso di paura o di stress non preceduto o caratterizzato da una ripetitività dell’azione. Se a questo si aggiunge il comportamento della vittima che, in qualche modo, non si frappone come ostacolo invalicabile alle molestie ma asseconda il comportamento del soggetto agente inducendolo a persistere in quegli atteggiamenti minacciosi, viene meno il requisito del pregiudizio alla psiche della persona offesa in termini tale da impedire alla vittima di vivere liberamente la propria quotidianità. (v. Cass., Sez. 3^ 23.10.2013 n. 46179).
Il legislatore ha attribuito al delitto in esame natura di illecito che pregiudica il bene giuridico costituito dalla libertà morale. Gli atti persecutori, consistono, quindi, in condotte di tipo vessatorio che determinano la mortificazione delle condizioni soggettive della vittima, tanto da incidere sul modo di conformare il proprio comportamento in termini di completa autonomia e da turbare quegli aspetti, complementari ma indispensabili, di quiete e di tranquillità, sui quali una siffatta autonomia necessariamente si fonda(v. Cass., Sez. 3^ 7.3.2014 n. 23485; Sez. 5^ 19.5.2011, n. 29872 in relazione alla alternatività delle condotte e degli eventi).
Se è più agevole acquisire la prova degli atti persecutori laddove essi si concretino nei casi in cui si verifica l’evento di far mutare al soggetto passivo le abitudini di vita secondo un schema assai vicino a quello della violenza privata, meno agevole si avverte la stessa lesione in quei casi in cui gli atti persecutori cagionano una grave e perdurante stato d’ansia o di paura od un fondato timore per l’incolumità, con risvolti che attengono all’equilibrio psico-fisico della persona.
La comune esperienza insegna che nei confronti delle persone prese di mira le minacce e le molestie vengono realizzate spesso attraverso lettere anonime o comunicazioni telefoniche, anche se minacce e molestie possono essere caratterizzate da atteggiamenti e condotte diverse, quali gli appostamenti, i pedinamenti, le fastidiose ed insistenti presenze, gli stazionamenti nei pressi dell’abitazione, della scuola, del luogo di lavoro, il compimento di atti vandalici allusivi e di dispetti, la collocazione di oggetti dal significato inquietante e altre simili condotte. Si tratta quindi una gamma assai variegata di comportamenti aventi caratteristiche di elevata invasività e capaci di instillare nella vittima un senso di oppressione, di tensione e di paura.
La gravità richiesta dalla norma punitiva dipende, in genere, dalla intensità intrinseca delle minacce ricevute, dalla pericolosità dell’agente e dalle circostanze che nel concreto ne fanno apprezzare la estrema probabilità di verificazione del danno ingiusto. La protrazione dello stato soggettivo può durare per quanto si susseguono le azioni disturbatrici, ma pare più conforme alla lettera della norma punitiva ritenere che essa corrisponda ad una alterazione irreversibile e patologica.
Il mutamento di abitudini di vita è fatto constatato dall’esperienza come comportamento necessitato cui la vittima di atti di persecuzione ricorre per cercare di sottrarsi agli stessi: sicché accade molto di frequente che vittime di appostamenti e pedinamenti cambino il percorso che le conduce a scuola, a casa od al lavoro; ovvero che non rispondano più al telefono e chiedano agli enti gestori il distacco degli apparecchi e l’eliminazione del loro nominativo dagli elenchi; ovvero, ancora, che si facciano accompagnare da terze persone per la paura di rimanere da sole con chi le molesta o le intimidisce. Si tratta, in genere, di precauzioni adottate per non fornire ulteriori occasioni di essere disturbati, a prezzo, però, di alterare e modificare i propri ritmi di vita quotidiana, le proprie forme di distrazione, le scelte minute che ordinariamente regolano l’assetto relazionale con l’esterno.
Ne consegue che laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima (cit. Cass. 9221/2016).