Revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova

Revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento Impugnazione avverso la sentenza di estinzione del reato Incapacità naturale Messa Medico del lavoro Abbandono della casa coniugale Messa alla prova presentata nel giudizio di secondo grado Spese a carico dell'usufruttuario L'ordinanza Pettegolezzo Sospensione della prescrizione Addebito della separazione La caparra confirmatoria Iscrizione di ipoteca Assegno divorzile Rimessione in termini Diritto di satira Programma di trattamento Prestazione di attività non retribuita Diritto di cronaca giudiziaria Circostanze aggravanti Diritto morale d'autore Reato di diffamazione tramite la rete internet Decreto penale di condanna e Impugnazione dell'ordinanza di rigetto Giudizio abbreviato e sospensione del procedimento per messa alla prova tollerabilità delle immissioni Vizi della cosa locata Diffamazione Diffamazione tramite la rete Internet Preliminare di vendita Casellario giudiziale Rilascio dell'immobile locato lavori di straordinaria amministrazione Garanzia per i vizi revoca della sanzione sostitutiva Paternità dell'opera Esimente della verità putativa Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale Diritto di cronaca Sincronizzazione Animali da compagnia Traduzione Obbligazione naturale Modifica del programma di trattamento Format di un programma televisivo Plagio Giurisdizione Relazione investigativa Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte Detenzione del bene Discriminazione direttaLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente le condizioni per la revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova.

Nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici di legittimità l’imputato, sottoposto alla messa alla prova, aveva interrotto i lavori di pubblica utilità per problematiche di salute che, però, nonostante la specifica richiesta dell’UEPE, non venivano documentate e certificate. Né avanzava specifica istanza all’Autorità Giudiziaria, ai sensi dell’art. 464 quiquies C.p.P. per ottenere la proroga per gravi motivi.

Giova premettere che, con la Legge 28 Aprile 2014, n. 67, traendo ispirazione da istituti di matrice anglosassone, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la messa alla prova, quale ulteriore strumento di deflazione processuale e di alleggerimento della gravosa situazione carceraria, imposto anche dalla Corte EDU con la condanna inflitta all’Italia 18 Gennaio 2013 nel caso Torreggiani contro Italia.

L’istituto prevede che, in relazione ai procedimenti per i reati meno gravi ed in presenza di talune condizioni, sia data possibilità all’imputato che lo richieda di evitare la celebrazione del dibattimento e di essere sottoposto ad un trattamento rieducativo e risocializzativo, con lo svolgimento di attività socialmente utili e l’attuazione di condotte riparatorie. Diversamente dall’omologa misura prevista nel procedimento per i minorenni con d.P.R. 22 Settembre 1988, n. 448 (chiaramente orientata in una prospettiva di recupero, risocializzazione e rieducazione di una personalità ancora in via di formazione), la messa alla prova per gli adulti è misura caratterizzata da una natura proteiforme. Per un verso, essa si muove in un’ottica specialpreventiva, dal momento che, sia pure in assenza di un accertamento giurisdizionale della penale responsabilità (salva la necessità di dichiarare la ricorrenza delle cause di proscioglimento “allo stato degli atti“, di cui all’art. 129 C.p.P.), consente di avviare un percorso alternativo al carcere, connotato da tratti, allo stesso tempo, sanzionatori e rieducativo-risocializzanti, subordinatamente alla valutazione discrezionale del giudice sia quanto all’an (dipendendo da una prognosi di non recidiva del soggetto e dall’accertamento dell’idoneità del programma proposto), sia quanto al quomodo (rimettendo al decidente la definizione dei contenuti e della durata della prova, con un’individualizzazione del trattamento alle esigenze del singolo interessato).

Per altro verso, l’istituto presenta un carattere indubbiamente premiale, là dove, a fronte della rinuncia dell’imputato alla piena cognitio dibattimentale, dunque a fronte della scelta deflattiva assicura all’interessato diversi vantaggi sul piano processuale e sanzionatorio, consentendo la sospensione del procedimento penale, l’accesso ad una pena alternativa non carceraria tendente a favorire un percorso di reinserimento e, in caso di esito positivo della prova, l’estinzione del reato con pronuncia liberatoria.

Come la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire, la sospensione con messa alla prova “ha effetti sostanziali, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotata da una intrinseca dimensione processuale, in quanto costituisce un nuovo procedimento speciale alternativo al giudizio” (Corte Cost. del 26/11/2015, n. 240). Duplice dimensione, penale sostanziale e processuale, palesata, del resto, dalla previsione dell’istituto tanto nel codice penale, quanto nel codice di procedura e, precisamente, nell’ambito dei procedimenti speciali del libro VI del medesimo codice. Su questa scia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato come la nuova figura, nel realizzare una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita, si connoti per un’accentuata dimensione processuale, che la colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio, ma presenti, anche e soprattutto, natura sostanziale: “Da un lato, nuovo rito speciale, in cui l’imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall’altro, istituto che persegue scopi specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto” (Cass. Sez. U, n. 36272/2016).

L’accesso all’istituto presuppone, da un lato, la verifica del giudice circa la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dal legislatore (id est, che si tratti di procedimento per reato punito con pena detentiva non superiore a 4 anni o rientrante nelle ipotesi di cui all’art. 550, comma 2, C.p.P. e di soggetto non delinquente abituale, professionale o per tendenza) e l’idoneità del trattamento proposto; dall’altro lato, la prognosi che il soggetto si asterrà dal commettere ulteriori delitti, dunque l’assenza di pericolosità sociale. La messa alla prova implica la sottoposizione del soggetto a specifici obblighi e prescrizioni: per un verso, prevede l’affidamento al servizio sociale per lo svolgimento di attività di volontariato di rilievo sociale e comporta l’osservanza di prescrizioni e lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, che assume la duplice valenza rieducativa e sanzionatoria; per altro verso, impone la prestazione di condotte riparatorie e restitutorie, al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti da reato e, ove possibile, di garantire il risarcimento del danno cagionato alla vittima, nonché l’avvio di una mediazione con quest’ultima.

L’art. 168 -quater C.p., prevede che la sospensione del procedimento con messa alla prova sia revocata in tre ipotesi:

1) grave e reiterata violazione del programma o delle prescrizioni imposte;

2) rifiuto della prestazione del lavoro di pubblica utilità;

3) commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo
o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede.

Tutte e tre le ipotesi di revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova si correlano all’obiettiva dimostrazione dell’infedeltà dell’interessato rispetto all’impegno assunto e smentita della fiducia accordata dall’ordinamento al soggetto quanto al buon esito della prova, nonché, la specifica ipotesi connessa alla commissione di un nuovo reato, alla palesata infondatezza della valutazione prognostica in punto di rischio di recidiva compiuta dal giudice in sede di applicazione dell’istituto.

Nella vicenda in esame la revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova si colloca nell’ambito della prima ipotesi di cui all’art. 168-quater C.p. che contempla il caso di “grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità“. L’espressione “grave e reiterata trasgressione” deve essere interpretata quale presupposto “sostanziale” del provvedimento, riferibile anche ad una condotta isolata di tale qualità e gravità da escludere la possibilità di una prognosi positiva sull’evoluzione della personalità del sottoposto. Dalla locuzione usata (“grave e reiterata trasgressione“) si evince, infatti, che, per adottare il provvedimento di revoca, è sufficiente anche una sola trasgressione, purché grave.

Il giudice, peraltro, una volta accertati i presupposti di una delle ipotesi di revoca previste dall’art. 168-quater C.p., non può compiere alcuna valutazione in ordine alla possibilità di proseguire comunque la prova (Cass., n. 28826/2018). Il predicato verbale “è revocata“, interpretato secondo il senso fatto palese dal significato proprio delle parole e secondo la connessione di esse (art. 12 Preleggi), non consente di rimettere al giudice la valutazione discrezionale circa la possibilità di far proseguire comunque la prova nonostante la ricorrenza di un’ipotesi di revoca. La norma, invero, collega chiaramente la revoca della sospensione del procedimento al mero riscontro giurisdizionale delle situazioni ivi contemplate, compiuto all’esito del contraddittorio camerale previsto dall’art. 464-octies, comma 2, C.p.P.

Corte di Cassazione Num. 19226 Anno 2020

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