La riconciliazione dei coniugi intervenuta dopo la sentenza di separazione, indica (seguendo i principi del diritto canonico) il ritorno del precedente rapporto matrimoniale tra gli sposi (separati giudizialmente).
La riconciliazione dei coniugi secondo il dispositivo di cui all’art. 157 C.c., (riconciliazione per fatti concludenti) implica la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, ossia la ripresa di relazione reciproche, oggettivamente rilevanti, che si siano concretizzate in un comportamento inequivoco, incompatibile con lo stato di separazione.
La ripresa della “comunione spirituale e materiale” ripristina il pregresso vincolo coniugale, è il presupposto fondamentale della riconciliazione dei coniugi, con il conseguente ripristino dei diritti e i doveri coniugali (fedeltà coabitazione, assistenza morale e materiale) e il ripristino della presunzione di concepimento durante il matrimonio (art. 232 C.c.). Si verifica inoltre, per comune giurisprudenza, il ripristino del precedente regime patrimoniale dei coniugi, salvo la tutela dei terzi. Inoltre le obbligazioni negoziali assunte con la separazione non vengono meno a seguito della riconciliazione: sul punto la giurisprudenza di legittimità ha provveduto a distinguere tra contenuto “necessario” ed “eventuale” o “accessorio” dell’accordo di separazione. In particolare, ha ribadito che i negozi c.d. accessori non trovano nella separazione consensuale la propria causa, essendo soltanto “occasionati” da essa, e non configurano, quindi, convenzioni matrimoniali ex art. 162 C.c., in quanto privi dei requisiti tipiche delle stesse. Tali negozi rappresentano espressione dell’autonomia contrattuale, nell’alveo della quale devono essere ricondotti, nei limiti in cui non determino una lesione di diritti inderogabili della persona. (Cassazione civile, sez. I, sentenza 22/11/2007 n. 24321).
Nel corso del giudizio di separazione dei coniugi, la riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta (art. 154 C.c.).
La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione (art. 157, secondo comma, C.c.).
Secondo la giurisprudenza di legittimità: la cessazione degli effetti civili della separazione si determina a seguito di riconciliazione, che non consiste nel mero ripristino della situazione “quo ante”, ma nella ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, vale a dire la ripresa di relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti, tali da comportare il superamento di quelle condizioni che avevano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza e che si concretizzano in un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione (Cass. civ. n. 28655 del 24 Dicembre 2013).
Ne consegue che ai fini della riconciliazione dei coniugi è necessaria la ripresa della vita coniugale, sia dal punto di vista materiale che spirituale e psicologico. Non rientra in tale ipotesi la mera convivenza temporanea e non continuativa o dettata da ragioni di ospitalità o di condivisione di un appartamento per esigenze abitative o economiche e neanche incontri sporadici tra gli ex coniugi essendo necessario il ripristino integrale del consortium vitae. Anche la ripresa dei rapporti sessuali e il concepimento di un figlio non è idonea di per sè ad integrare la riconciliazione dei coniugi, ma occorre la ricostituzione di un nucleo familiare (Cassazione, sez. I civile, sentenza 16.10.2003 n. 15481). Ed è in tal senso che si sostanzia il comportamento non equivoco di cui all’art. 157 C.c. (in particolare una convivenza coniugale accompagnata da una stabile coabitazione, dall’organizzazione domestica e, normalmente, da rapporti sessuali e da altre manifestazioni di affetto).
Secondo orientamento della giurisprudenza di legittimità l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta ad istanza di parte, il giudice non può rilevarla d’ufficio, non investendo essa profili d’ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti ai rapporti tra i coniugi, in ordine ai quali è onere della parte convenuta eccepire e conseguentemente provare l’avvenuta riconciliazione (Cass. 19 Novembre 2010, n. 23510) e (in tal senso, parte ricorrente per richiedere prove contrarie alla deduzione della controparte di avvenuta riconciliazione, deve provvedere con la seconda memoria di cui all’art. 183 C.p.C., comma 6).
Nel giudizio di separazione dei coniugi, l’intervenuta riconciliazione integra una eccezione in senso lato poiché riguarda, in relazione al regime previsto dagli artt. 154 e 157 C.c., non un fatto impeditivo ma la sopravvenienza di una nuova condizione, il cui accertamento può avvenire anche d’ufficio da parte del giudice, ancorchè sulla base di deduzioni ed allegazioni delle parti, mentre nel procedimento di divorzio l’interruzione della separazione deve essere eccepita, ai sensi dell’art. 3, quarto comma, lett. b), della Legge 1 Dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 5 della Legge 6 Marzo 1987, n. 74, dal convenuto, assumendo rilievo quale fatto impeditivo della realizzazione della condizione temporale stabilita nella medesima disposizione. (Cass. Civ., sezione I, n. 19535 del 17 Settembre 2014).
La dichiarazione di divorzio non consegue automaticamente alla constatazione della presenza di una delle cause previste dall’art. 3 della Legge n. 898 del 1970 (oggi dagli artt. 1 e 7 della Legge n. 74 del 1987), ma presuppone, in ogni caso, attesi i riflessi pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento all’istituto familiare, l’accertamento, da parte del giudice, della esistenza (dell’essenziale condizione) della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio coniugale per effetto della definitiva rottura del legame di coppia, onde, in questo senso, lo stato di separazione dei coniugi concreta un requisito dell’azione, necessario secondo la previsione dell’art. 3, n. 2, lett. b), della citata Legge n. 898 del 1970, la cui interruzione, da opporsi a cura della parte convenuta (art. 5 della Legge n. 74 del 1987) in presenza di una richiesta di divorzio avanzata dall’altra parte, postula l’avvenuta riconciliazione, la quale si verifica quando sia stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale e che, quindi, sottende l’avvenuto ripristino non solo di quelli riguardanti l’aspetto materiale del consorzio anzidetto, ma altresì di quelli che sono alla base dell’unione spirituale tra i coniugi (Cass. civ. n. 26165 del 6 Dicembre 2006).