Sottrazione del telefono cellulare della persona offesa.
Rapina consumata o violenza privata? Distinzione.
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.
Nel caso di specie, (Cass., Penale sentenza Sez. 2, n. 727 del 2022), con riferimento alla sottrazione del telefono cellulare della persona offesa, si eccepisce che non sarebbe configurabile il reato di rapina ma il reato di violenza privata in quanto l’imputato non avrebbe avuto il fine di conseguire un profitto patrimoniale e che in tale concetto non si potrebbe ricondurre lo scopo di leggere i messaggi e vedere le foto contenute nel telefono, peraltro sottratto solo per un limitato periodo di tempo e spontaneamente restituito. Sotto altro profilo, poi, difetterebbe il dolo specifico della rapina, ciò proprio in quanto l’imputato non aveva intenzione di conseguire alcun profitto ma solo di costringere la persona offesa a mostrargli il contenuto del telefono cellulare, sottratto per tale unico fine.
Come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale conformandosi alla pacifica giurisprudenza della Corte di legittimità sul punto, i fatti sono stati correttamente qualificati nei termini della rapina consumata e non come violenza privata in quanto l’ingiusto profitto del delitto di cui all’art. 628 cod. pen. non deve necessariamente concretarsi in un’utilità materiale, potendo questo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l’agente si riproponga di conseguire, sia pure in via mediata, dalla condotta di sottrazione ed impossessamento, con violenza o minaccia, della cosa mobile altrui (così Cass., Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019 e da ultimo, tra le tanti, Sez. 2, n. 40335 del 19/10/2021, e, in una ipotesi del tutto coincidente a quella oggetto dell’attuale ricorso cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11467 del 10/03/2015, citata anche nella sentenza impugnata) così che il dolo specifico è costituito dall’intenzione del soggetto di perseguire un’utilità morale che lo stesso, consapevolmente e volontariamente, consegue appropriandosi comunque di un oggetto materiale che ha anche un intrinseco valore patrimoniale. (Cass., Penale sentenza Sez. 2, n. 727 del 2022)