Storpiatura del cognome e reato di diffamazione
La storpiatura del cognome di una persona costituisce chiaro epiteto offensivo personale, ed integra il reato di diffamazione con la conseguente insussistenza della scriminante del diritto di critica e di satira.
Nel caso di specie si sottolinea come la satira sia una forma di critica particolarmente arguta ed ironica, anche estrema nelle sue manifestazioni, che, se esercitata correttamente, può scriminare la condotta di diffamazione. La finalità della satira è proprio quella di provocare dileggio e l’utilizzo di espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, deve essere consentito, sempre che esse siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato rispetto al comportamento preso di mira dal personaggio pubblico.
Nel caso di specie, l’impostazione difensiva, pur contenendo nuclei interpretativi corretti, poiché è certamente molto ampia la sfera di liceità penale che l’interpretazione della Cassazione ha riservato all’esercizio di quella peculiare forma di pensiero critico-dissenziente che si esprime nella satira, anzitutto nel contesto di rivendicazioni su tematiche di rilievo pubblico, deve essere precisata quanto al manifestarsi della satira sotto forma di dileggio o disprezzo personali.
La Corte di legittimità, infatti, più volte ha avuto modo di chiarire che, in tema di diffamazione (anche a mezzo stampa), sussiste l’esimente del diritto di critica quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un’argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti, mediante una forma espositiva strettamente funzionale alle finalità di disapprovazione e che non si risolve in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o in disprezzo personale, sebbene possano utilizzarsi termini oggettivamente offensivi se insostituibili nella formazione del pensiero critico (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 1, n. 5695 del 5/11/2014; Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019; nonché, Sez. 5, n. 31263 del 14/9/2020).
Deve essere ben chiaro, pertanto, il confine tra la legittima espressione satirica di ludibrio o ironico scherno e, di contro, il disprezzo personale gratuito: il giudice, nell’apprezzare il requisito della continenza, deve tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale della satira, rispetto al quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell’espressione, restando, comunque, fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali dell’individuo, che deve ritenersi superato quando la persona pubblica (quale è, nel caso di specie, un sindaco, amministratore locale), oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al disprezzo personale (Cass., Sez. 5, n. 37706 del 23/5/2013).
Nel caso di specie, fermi i suddetti principi ermeneutici, detta causa di giustificazione non può applicarsi al chiaro e gratuito epiteto offensivo personale, coinvolgente l’aspetto fisico della vittima del reato, costituito dalla storpiatura del suo cognome, benchè la condotta si inscriva nella legittima manifestazione del diritto di critica, legata al diritto all’abitazione.
Nonostante, quindi, la matrice della sua condotta sia senza dubbio lecita, l’imputato ha superato i limiti posti dall’interpretazione nomofilattica per ritenere sussistente la scriminante di cui all’art. 51 C.p., anzitutto quanto alla forma espositiva della critica manifestata, poiché la storpiatura del cognome della vittima, non configura “l’espressione di un pensiero” che, per quanto forte ed offensivo, faccia “riflettere sorridendo” sul tema in relazione al quale si manifesta la propria idea – come è nell’obiettivo di quella forma di critica peculiare rappresentata dalla satira – ma si risolve nel gratuito insulto spregiativo e nel disprezzo personale.
In secondo luogo, tantomeno può ritenersi che la modalità di satira prescelta fosse inevitabile a definire le proprie idee riguardo ad una questione pure di sicuro e drammatico rilievo quale è il diritto all’abitazione, essendo l’offesa all’aspetto fisico della vittima del tutto scollegata dall’oggetto della critica.
Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 320 del 10 gennaio 2022