Tolleranza dell’infedeltà coniugale e addebito della separazione
La tolleranza dell’infedeltà coniugale da parte di uno dei coniugi alcuni anni prima della proposizione della domanda di separazione, consentendo di ritenere che egli non li considerasse tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, esclude la possibilità di far valere, quale causa di addebito, analoghi comportamenti tenuti successivamente?
In tema di separazione personale dei coniugi, la Corte di legittimità ha già affermato che la dichiarazione di addebito implica la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ovvero, che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza (Cass., Sez. I, 20.12.2021 n. 40795; Cass., 27.06.2006 n. 14840; Cass., 11.06.2005 n. 12383).
Tale principio è stato ritenuto applicabile anche nei casi di inosservanza dello obbligo di fedeltà coniugale, la quale costituendo una violazione particolarmente grave che, normalmente idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, è stata ritenuta di regola sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non ha costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in presenza di un deterioramento dei rapporti già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza divenuta ormai meramente formale. (Cass. Sez. VI, 14.08.2015 n. 16859; Cass., Sez. I, 7.12.2007, n. 25618; Cass., 12.06.2006 n. 13592).
Dunque, grava sulla parte che richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’onere di provare la relativa condotta la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità dell’infedeltà a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, ovvero l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà. (Cass., Sez. VI, 19.02.2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14.02.2012, n. 2059)
Ai fini di tale accertamento è stata ritenuta irrilevante la prova della tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge nei confronti della condotta infedele tenuta dall’altro, essendosi esclusa la configurabilità della stessa come “esimente oggettiva”, idonea a far venire meno l’illiceità del comportamento, o l’ammissibilità di una rinuncia tacita allo adempimento dei doveri coniugali, in quanto aventi carattere indisponibile, ed essendosi ritenuto che la sopportazione dell’infedeltà del coniuge possa essere presa in considerazione come indicatore di una crisi in atto da tempo, nell’ambito di una più ampia valutazione volta a stabilire se tra le parti fosse già venuta meno l’affectio coniugalis. (Cass., Sez. I, 20.09.2007, n. 19450; Cass., 27.06.1997, n. 5762; Cass., 02.03.1987, n. 2173).
Alla stregua di tali principi, nel caso di specie, deve ritenersi che la tolleranza manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda potesse impedirgli di far valere la violazione del dovere di fedeltà, in quanto fosse stato dedotto e dimostrato che la predetta relazione non aveva costituito causa della crisi coniugale, all’epoca già in atto e mai più sanata, ovvero che la stessa era rimasta un episodio isolato, superato da una piena ripresa dei rapporti tra i coniugi.
A sostegno della domanda di addebito il ricorrente aveva invece allegato e chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, intraprese successivamente alla cessazione della prima e fino all’instaurazione del giudizio di separazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata nei confronti della condotta del coniuge era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte dello stesso, che aveva determinato il fallimento dell’unione.
A fronte di tale allegazione, l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nei confronti della prima relazione non poteva essere considerato sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione, a tal fine occorrendo prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, e accertare se si fossero verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà da parte della donna e quale fosse stata la reazione del marito: soltanto ove fosse risultato che a seguito della cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, o se la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis.
Corte di Cassazione, Sez. I, Ord., 02 settembre 2022, n. 25966