L’art. 353 bis C.p. disciplina la fattispecie delittuosa della “Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” nell’ambito del procedimento amministrativo: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032“.
La disposizione normativa di cui all’art. 353-bis C.p. è stata introdotta dal legislatore con l’art. 10 della Legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia) con l’obiettivo di sterilizzare le condotte finalizzate a turbare le fasi preliminari di una gara, così da arginare i possibili vuoti di tutela che la disposizione di cui all’art. 353 C.p. aveva creato anche a seguito di indirizzi giurisprudenziali secondo cui il reato di turbata libertà degli incanti, anche sub specie di tentativo, non sarebbe configurabile nei casi in cui alla commissione di una delle condotte ivi enucleate non faccia seguito la pubblicazione del bando di gara e, quindi, il formale avvio della stessa procedura selettiva (in tal senso, da ultimo, Cass., Sez. 5, n. 26556 del 13/04/2021).
Come si legge nei lavori preparatori, con il reato in questione sarebbe stato colmato un vuoto di tutela.
La ratio della norma è normalmente individuata nella esigenze di anticipare la tutela penale, rispetto al momento di effettiva indizione formale della gara; la norma, si sostiene, mira a prevenire la preparazione e l’approvazione di bandi personalizzati e calibrati proprio sulle caratteristiche di determinati operatori, ed a preservare il principio di libertà di concorrenza e la salvaguardia degli interessi della pubblica amministrazione.
La disposizione è concepita per punire contegni orientati a favorire taluno degli interessati alla commessa a scapito di altri e, più esattamente, a conculcare la parità tra i concorrenti e la libera dialettica economica, ponendosi, dunque, al servizio della libertà di concorrenza intesa quale bene funzionale ad assicurare ai pubblici poteri l’individuazione del migliore offerente.
Il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine, essendo sufficiente che sia messa in pericolo la correttezza della procedura amministrativa volta a stabilire il contenuto del bando, in ciò consumandosi il suo turbamento.
Non è necessario cioè che il contenuto del bando, o di un atto ad esso equipollente, venga effettivamente inquinato in modo tale da condizionare la scelta del contraente (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 6, n. 29267 del 5/4/2018; Cass., Sez. 6, n. 1 del 02/12/2014).
Le condotte dirette ad interferire illecitamente sulla determinazione del contenuto del bando di gara, o dell’atto ad esso equipollente, assumono rilevanza a condizione che l’organo o l’ente pubblico abbia in essere un procedimento amministrativo che dimostri la volontà di contrarre, che cioè vi sia una procedura amministrativa finalizzata alla gara, alla predisposizione di un bando o di un atto ad esso equipollente (Cass., Sez. 6, n. 26840 del 14/4/2015).
In tale contesto si pone la questione del se il reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente sia configurabile anche quando, come nel caso di specie, la condotta perturbatrice non sia finalizzata ad inquinare lo sviluppo di una procedura selettiva, ma ad evitare la gara e a consentire l’affidamento diretto in assenza delle condizioni previsti dalla legge.
Il tema attiene alla esatta individuazione del tipo e dell’ambito del procedimento amministrativo, nonché alla interpretazione del sintagma “contenuto del bando e di altro atto equipollente” di cui alla norma incriminatrice prevista dall’art. 353- bis C.p.
Secondo una prima opzione interpretativa, l’art. 353-bis C.p., facendo riferimento al “contenuto del bando o di altro atto equipollente“, dovrebbe essere interpretato nel senso che per “altro atto equipollente” dovrebbe intendersi “ogni atto che – così come recita la rubrica della norma – abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, venendo così in considerazione, sulla scorta di un’interpretazione di segno ampio, pienamente conforme alla ratio legis, anche la deliberazione a contrarre qualora la stessa, per effetto della illecita turbativa, non preveda l’espletamento di alcuna gara, bensì l’affidamento diretto ad un determinato soggetto economico” (così testualmente Cass., Sez. 6, n. 13431 del 16/02/2017 in fattispecie di procedura di affidamento diretto avviata in violazione della normativa allora vigente ed in cui si valorizza anche la motivazione di Cass., Sez. 6, n. 43800 del 23.10.2012, e di Cass., Sez. 6, n. 1 del 02.12.2014).
Il principio di diritto indicato è richiamato in senso adesivo da Cass., Sez. 6, n. 1016, del 22/10/2019, in fattispecie di affidamento diretto illegittimo, perchè posto in essere senza la sussistenza del requisito della somma urgenza (nello stesso senso, sempre in tema di affidamento diretto illegittimo Cass., Sez. 6, n. 10016 del 13/02/2019; Cass., Sez. 6 n. 10111 del 13/02/2019).
Le decisioni in esame, ricomprendendo nella nozione di “atto equipollente“, i casi in cui l’affidamento diretto sia utilizzato in maniera distorta per eludere l’indizione della gara, ritengono configurabile il reato previsto dall’art. 353-bis C.p.
Una ricostruzione che, attraverso la evocazione della “eadem ratio“, valorizza la necessità, da una parte, di colmare un vuoto di tutela e, dall’altra, di attribuire rilevanza penale a condotte “sostanzialmente” sovrapponibili a quelle disciplinate dalla norma incriminatrice attraverso una interpretazione extratestuale – considerata meramente estensiva – della stessa.
Si tratta di una opzione interpretativa che non può essere condivisa e che deve
essere superata.
La Corte di Cassazione aveva già evidenziato che, se è vero che la selezione del contraente mediante trattativa privata può non essere preceduta da nessun confronto tra offerte antagoniste, è altrettanto vero che la legge consente di derogare al modulo generale.
Vi sono casi in cui, cioè, nonostante l’affidamento diretto, il procedimento prevede
segmenti concorrenziali tra gli aspiranti che rendono omologabile la trattativa privata – perlomeno in relazione alla fase iniziale del procedimento – a una procedura di gara, considerata “ufficiosa“, “informale“, “esplorativa“, “di sondaggio“, di “consultazione“.
Dunque, si era chiarito – seppur con riguardo al reato previsto dall’art. 353 C.p. che anche la trattativa privata, se anticipata da una qualsiasi fase di preselezione competitiva delle ditte con cui contrattare, acquista l’attitudine ad essere ricondotta, in presenza di un’azione perturbatrice, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 353 C.p. (cfr., Cass., Sez. 6, n. 12238 del 30/09/1998, secondo cui il reato di turbata libertà degli incanti non è configurabile nell’ipotesi di contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a mezzo di trattativa privata che sia svincolata da ogni schema concorsuale, a meno che la trattativa privata, al di là del “nomen juris“, si svolga a mezzo di una gara, sia pure informale; nella specie la Corte ha precisato che ciò non integra una applicazione analogica della fattispecie criminosa – vietata in materia penale – in quanto non ne allarga l’ambito di applicazione, bensì concreta una interpretazione estensiva, sulla base dell’eadem ratio che la sorregge e che è unica, volta a garantire il regolare svolgimento sia dei pubblici incanti e delle licitazioni private sia delle gare informali o di consultazione, le quali finiscono con il realizzare, sostanzialmente, delle licitazioni private. In difetto, però, di una reale e libera competizione tra più concorrenti non è a parlarsi di gara, come nel caso in cui singoli potenziali contraenti, individualmente interpellati, presentino ciascuno le proprie offerte e l’amministrazione resti libera di scegliere il proprio contraente secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati; nello stesso senso Cass., Sez. 6, n. 1412, del 23/10/1998).
L’opzione interpretativa indicata è stata successivamente ripresa e sviluppata anche con riguardo al delitto previsto dall’art. 353-bis C.p.
Si è affermato in molteplici occasioni che, ai fini della integrazione del reato, deve aversi riguardo ad ogni istituto competitivo, pregiudiziale alla perfezione di un contratto con la pubblica amministrazione, purché il suo funzionamento sia sottoposto — per volontà della stazione appaltante o per previsione legislativa — a regole, seppure meno stringenti e penetranti rispetto a quelle congenite ai pubblici incanti e alle licitazioni private, ma comunque predeterminate, alle quali i privati devono attenersi e i pubblici poteri devono adeguarsi.
Qualunque condotta tesa a interferire sulla libera concorrenza, anche se calata
nell’ambito di paradigmi concorrenziali diversi, coopera alla genesi della lesione di quegli interessi posti a giustificazione della tutela penale.
Il reato è cioè configurabile in ogni situazione in cui si debba sviluppare la libera attività di concorrenza.
Le uniche situazioni che si sottraggono all’applicazione della fattispecie, spiega l’indirizzo in esame, sono quelle in cui la ricerca del contraente sia sganciata da ogni giudizio comparativo, anche di tipo informale, ed in cui, quindi, non si può riscontrare alcuna spinta “agonistica” tra le parti, venendo meno in radice la possibilità stessa che il diritto degli imprenditori a gareggiare in condizioni di parità per gli appalti pubblici subisca un nocumento (In tal senso, in particolare, Cass., Sez. 6, n. 57000 del 06/12/2018, in cui la Corte ha escluso il reato previsto dall’art. 353-bis C.p. in fattispecie di affidamento di un servizio legittimamente disposto in via diretta e senza gara in cui all’indagato si contestava di avere sottoscritto la delibera di affidamento temporaneo, nella consapevolezza di irregolarità documentali e di accordi collusivi tra altri pubblici amministratori ed i privati interessati; nello stesso senso; Cass., Sez. 6, n. 44700 del 13/07/2021 secondo cui costituiscono “atti equipollenti” al bando di gara l’avviso con il quale, nella procedura contrattuale di “precommercial procurement“, si dà inizio alla fase di ricerca e scelta del contraente, nonchè l’allegato tecnico descrittivo del contenuto del futuro contratto; Cass., Sez. 5, n. 25290, del 2/03/2021; Cass., Sez. 6, n. 6603 del 05/11/2020 in tema di turbata libertà degli incanti; Cass., Sez. 6, n. 30730 del 28/03/2018; Cass., Sez. 6, n. 36806 del 06/04/2018; Cass., Sez. 6, n. 36065 del 26/06/2018; Cass., Sez. 6, n. 9385 del 13/04/2017; Cass., Sez. 6, n. 8044 del 21/01/2016; Cass., Sez. 6, n. 29581 del 24/05/2011; Cass., Sez. 6, n. 13124 del 28/1/2008).
Secondo l’opzione interpretativa in esame, dunque, in presenza di una condotta perturbatrice, la trattativa privata ed il conseguente legittimo affidamento diretto delle opere, se non anticipata da un segmento procedimentale di valutazione concorsuale, non consente di ritenere configurabile il delitto previsto dall’art. 353-bis C.p.
In tale articolato quadro di riferimento si pone la questione specifica: se, cioè, il reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contrante sia configurabile in presenza di un affidamento diretto illegittimamente disposto per effetto della condotta perturbatrice volta ad impedire la gara.
A differenza di quanto previsto dall’art. 353 C.p., in cui l’evento naturalistico del reato è costituito in via alternativa dall’impedimento della gara o dal suo turbamento, l’art. 353-bis fa riferimento al solo turbamento del procedimento amministrativo, che deve essere realizzato con una condotta finalizzata a inquinare il contenuto del bando – o di un altro atto a questo equipollente – e, quindi, a condizionare le modalità di scelta del contraente.
La norma incriminatrice richiede sul piano della tipicità un’azione finalizzata ad inquinare il contenuto di un atto che detta i requisiti e le modalità di partecipazione alla competizione, nonché ogni altra informazione necessaria a tale scopo.
La condotta perturbatrice deve quindi riguardare un procedimento amministrativo funzionale ad una “gara”, nel senso in precedenza indicato, e deve volgere sul piano finalistico ad inquinare il contenuto di un atto funzionalmente tipico, cioè di un atto esplicativo del modo con cui si devono selezionare i concorrenti per individuarne il migliore; un atto che pone le regole, le modalità di accesso, i criteri di selezione, che disciplini il modo con cui compiere una comparazione valutativa tra più soggetti.
Il turbamento del procedimento amministrativo si manifesta con il disturbo, l’alterazione, il condizionamento, lo sviamento del normale iter di questo in ragione della finalità di inquinamento del futuro contenuto del bando o di un atto a questo equipollente; uno sviamento volto a strumentalizzare la fissazione delle regole di partecipazione per condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.
Ne discende che la condotta di turbamento, per assumere rilievo ai fini della
sussistenza del reato previsto dall’art. 353-bis C.p., deve innestarsi ed intervenire in un procedimento amministrativo che contempli una qualsiasi procedura selettiva, la pubblicazione di un bando o di un atto che abbia la stessa funzione.
Questo è il senso della norma incriminatrice nella parte in cui fa riferimento ad un atto equipollente al bando; deve trattarsi del contenuto di un atto che assolva la stessa funzione del bando.
Rispetto al dato letterale della norma incriminatrice, non sono dunque condivisibili torsioni interpretative volte a conformare il dato testuale per attribuirgli un significato ulteriore, distinto e più ampio, rispetto a quello desumibile dalla sua immediata lettura.
Si tratta di opzioni interpretative che finiscono per estendere l’ambito della norma incriminatrice e la tipicità della fattispecie con un procedimento analogico in malam partem in cui, attraverso considerazioni di natura teleologica, si varcano i paletti fissati dalla lettera della legge,.
La condotta perturbatrice non finalizzata ad inquinare il contenuto del bando – o di un atto ad esso equipollente -, ma volta ad impedire la gara attraverso l’affidamento illegittimo diretto dei lavori, è esterna rispetto al perimetro testuale della norma.
La valorizzazione della componente finalistica, ove pure fosse realmente sottesa alla ratio della disposizione criminosa, produrrebbe una tensione con il principio di legalità perché finirebbe per introdurre un nuovo e diverso elemento di struttura (l’inquinamento del procedimento finalizzato ad evitare la gara, rispetto all’inquinamento volto a condizionare la gara) che la lettera della norma incriminatrice obiettivamente non prevede.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 98 del 2021 ha nuovamente spiegato come il divieto di analogia non consenta di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo.
Si è chiarito come sia il “testo della legge – non già la sua successiva interpretazione ad opera della giurisprudenza – che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicché non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore“.
Dunque, la stretta osservanza del principio di legalità preclude all’interprete di
abbandonare il dato letterale della norma incriminatrice ed il suo significato semantico, per ricercare profili ulteriori in grado di colorare ulteriormente il perimetro dell’illecito.
Ne consegue che: “in caso di affidamento diretto, il delitto previsto dall’art. 353- bis C.p.: a) è configurabile quando la trattativa privata, al di là del nomen juris, prevede, nell’ambito del procedimento amministrativo di scelta del contraente, una “gara”, sia pure informale, cioè un segmento valutativo concorrenziale; b) non è configurabile nelle ipotesi di contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a mezzo di trattativa privata in cui il procedimento è svincolato da ogni schema concorsuale; c) non è configurabile quando la decisione di procedere all’affidamento diretto è essa stessa il risultato di condotte perturbatrici volte ad evitare la gara“.
Al di là del dato obiettivo costituito dalla conclusione di un contratto con affidamento diretto dei lavori, il giudice deve ricostruire il procedimento amministrativo, accertare come esso abbia avuto origine, quali fossero gli intendimenti della pubblica amministrazione, secondo quali sviluppi si sia addivenuti all’affidamento diretto, se il procedimento prevedesse comunque, in qualche segmento, una valutazione comparativa in funzione selettiva dei concorrenti.
Corte di Cassazione, Sez. 6 n. 5536 Anno 2022