Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza

Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza Termini a difesa Obbligazione assunta da un coniuge Risarcimento del danno non patrimoniale alla madre e ai fratelliViolazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza. La nozione di giusta causa

Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.

Per unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il diritto che scrimina è quello che, quale che sia il suo posto tra le situazioni giuridiche soggettive (diritto, diritto potestativo, potestà, facoltà), attribuisce al soggetto il potere di agire per la sua soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti. È necessario, però, che l’attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato.

(art. 616 C.p.)

In materia di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la nozione di giusta causa, alla cui assenza l’art. 616 secondo comma cod. pen., subordina la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, non è fornita dal legislatore ed è dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve pertanto determinare di volta in volta con riguardo alla liceità – sotto il profilo etico e sociale – dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento (Cass., n. 8838 del 1/10/1997).

Nel caso di specie, (Cass. n. 5207/2014) nessuna norma giuridica, etica o sociale autorizza la propalazione di notizie ottenute invadendo la sfera privata altrui (che sia la posta, il domicilio, il luogo di lavoro o altro luogo in cui si svolge la personalità umana) per “ristabilire un principio morale offeso”, ovvero per consentire la punizione di un comportamento ritenuto – dall’autore – genericamente disdicevole o contrario a regole giuridiche, deontologiche o morali, giacché non è consentito a chiunque, nell’attuale contesto culturale e ordinamentale, farsi giudice dei comportamenti altrui, specie se l’asserita ansia di giustizia origina dall’avversione nutrita verso una controparte processuale. Conseguentemente, nessun obbligo di segnalazione o di denuncia è posto dall’ordinamento a carico del privato che sia venuto, anche accidentalmente (ma non è il caso), a conoscenza di notizie siffatte. (Cass. Sez. V, 15 dicembre 2014, n. 52075)

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